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Il vero cammino è dentro di noi

In ogni viaggio c’è una scena clou: col passar degli anni resta solo quella, il resto svanisce. Buenos Aires è bellissima, gli emigrati italiani, al cinquanta per cento veneti, mi avevano invitato e mi hanno festeggiato, ma l’unico, profondo, indelebile ricordo resta in me l’adunata delle Madri della Plaza de Mayo. Si trovano ogni settimana, il giovedì alle 14; si abbracciano, si baciano, mi son fatto abbracciare, ho sentito sulla mia guancia la guancia della madre-senza-figlio, ho spartito il suo lutto, da allora è anche un mio lutto. Borges ha una pagina in cui esalta il potente che governa senza democrazia: non amo Borges. Parigi è la città che amo di più. Un giornale mi aveva chiesto di visitare la tomba di Sartre, e raccontare cosa sentivo. Avevo un debito con Sartre come verso un padre, sulla tomba gli dissi o pensai: «Sono qui», e la risposta fu: «Io no». Sartre era ateo, io cristiano. L’ateo morto è solo un ricordo di qua, di là non esiste più, quell’«Io no» significava: «Non sono da nessuna parte». Il dialogo era impossibile. Andai via senza aggiungere altro. Berchtesgaden è il villaggio sulle montagne bavaresi dove sorge il Nido dell’aquila, residenza estiva di Hitler. La villa, ora un ristorante, sta in alto, dove passa il limite della vegetazione. Arrivi nello spiazzo sottostante e parcheggi.

Entri nelle viscere della montagna per un lungo tunnel, in fondo c’è una caverna rotonda, lì scende e da lì risale un vasto ascensore, quello di Hitler, in un angolo sta ancora il telefono di Hitler, in ottone. Sali in verticale, esci, e sei davanti al salone della villa: lì ti aspettava il Führer, dritto in piedi. Tu sali dagli inferi, nella luce ti aspetta il dio della Germania, che vuol diventare il dio del mondo. Si mangia, nel cortile del ristorante. È pieno di tedeschi. Loquaci, euforici, eccitati. Sembrano meridionali. Senti che pensano: «Se avesse vinto!». Isla Nigra, Cile, sulla sponda del Pacifico: c’è la tomba di Neruda, una tomba matrimoniale, in giardino, inclinata verso l’oceano, come una scialuppa che sta per scivolare in acqua. La casa di Neruda è piena di paccottiglia: perfino la toilette è tappezzata di ricordi autocelebrativi, piatti, manoscritti, pare una villa di D’Annunzio. Mosca, Berlino, Lisbona, Rio de Janeiro, Leningrado... Ma l’emozione più profonda l’ho sentita nello studio di Cesare Musatti, a Milano. Musatti mi aiutava a capire i sogni. Su quel lettino s’eran sdraiati Pasolini, Ottieri, i più grandi scrittori italiani. Mi pareva di sentirli parlare. Sottovoce. Raccontavo i miei sogni, ed era come se parlassi di uno sconosciuto. Ma ero io. Ricordo i simboli, gli enigmi, le metafore. Ci ripenso, ogni tanto. L’unico vero viaggio è dentro di sé, e non finisce mai: tu muori, ma il tuo viaggio continua.

di Ferdinando Camon