Luoghi dell' Infinito > Albino Pierro e il canto di Lucania

Albino Pierro e il canto di Lucania

La scoperta del dialetto tursitano per Albino Pierro è stata fulminante. Nella sua poesia si impastano ricordi, attualità e un’epica radicata in un tempo ancestrale

​Raffaele Nigro

«Non avevo mai pensato di scrivere in tursitano che ricordo come l’idioma della mia infanzia, anche se, ovviamente, non lo parlavo sempre. Ma il 23 settembre del 1959, a Roma, di ritorno dalla Lucania, avvertii il bisogno di esprimermi in tursitano». Così Albino Pierro (Tursi, 19 novembre 1916 - Roma, 23 marzo 1995) in una ricostruzione autobiografica consegnata a Felice Piemontese qualche anno fa, racconta la sua decisione improvvisa di scrivere versi in dialetto.
Eppure di versi ne aveva composti fino a quella data, dalle Liriche, del 1946, a Mia madre passava, del 1955, a Il transito del vento, di due anni dopo. Improvvisamente nascevano i versi di La terre d’u ricorde, che avrebbero imposto il professore di Tursi all’attenzione della critica nazionale e convinto Gianfranco Contini, uno dei critici più raffinati di quella stagione, che si era di fronte a un poeta straordinario, l’inventore di un linguaggio immerso nella dialettalità tursitana, ma che con la musicalità di quel dialetto costruiva una lingua propria, capace di esprimere contemporaneamente la luttuosità del poeta e della terra lucana, la matria matrigna, paese sognato e agognato, topos decadente del luogo a cui si anela ma al quale non si può tornare, come già Quasimodo aveva detto della sua Sicilia.
Quella sera del ’59, spiega Pierro, era partito da Tursi prima del previsto e la partenza gli aveva generato un senso di angoscioso distacco, lo aveva turbato.
«Prima di lasciare la grande casa dei miei, m’ero affacciato a uno dei balconi e avevo contemplato con commozione intensa quanto inusitata quella che sarebbe diventata per me “la terra del ricordo”. Quel ricordo, al termine del viaggio, già dominava la mia interiorità e chiedeva di essere tradotto in canto».
Pierro ricordava gli anni dell’infanzia, le processioni al paese, i cortei funebri, i giochi giocati. C’erano nel suo bagaglio le letture giovanili, il Leonardo Sinisgalli poeta della memoria lucana, c’era la dialettalità di Scotellaro, e insieme la sua poesia di denuncia. C’era la lettura cimiteriale di Portonaccio, del giovane Accrocca, il bisogno di reazione alla poesia ermetica attraverso una poesia colloquiale e immediata.
[...]