Giuseppe, un padre santo per gli artisti
Da Giotto a Nicolas Poussin, le diverse iconografie di san Giuseppe ne valorizzano la gloria famigliare
Elena Pontiggia
San Giuseppe entra in ritardo nella storia dell’arte. Nei primi secoli dell’era cristiana lo troviamo rappresentato solo episodicamente, come nel sarcofago di Le Puy-en-Velay in Francia (IV secolo), dove lo vediamo giovane sposo della Vergine, oppure nella Cattedra di Massimiano a Ravenna (VI secolo), dove prima è invitato dall’angelo a prendere con sé senza timore Maria, e poi si muove con lei verso Betlemme.
Deve però aspettare un altro mezzo millennio per diventare una presenza più consueta. È infatti la pittura del Medioevo che lo riscopre, dandogli rilievo nelle immagini dello Sposalizio della Vergine, delle visioni dell’angelo in sogno, della Sacra Famiglia, della Fuga in Egitto. Del resto anche l’idea di una sua festa liturgica nasce nel Trecento e sarà ufficializzata un secolo dopo. Da quel momento, comunque, si assiste a un crescendo. Certo, Giuseppe non compare ancora da solo ma è sempre un comprimario, eppure guadagna gradualmente spazio, come si vede nel Beato Angelico, in Mantegna, Botticelli, Raffaello e, più ancora, nel Tondo Doni di Michelangelo, dove è così imponente che la sua figura è stata considerata un simbolo di Dio Padre.
A partire dal Seicento lo sposo di Maria è rappresentato anche da solo, soprattutto in Spagna, dove era diffusa la sua devozione promossa da santa Teresa d’Avila, ma anche in Italia, nelle intense immagini di tanti maestri, da Guido Reni a Tiepolo, che esaltano la sua paternità e la sua tenerezza verso il Bambino. Oltre alle più note iconografie ispirate alle pagine del Vangelo e dei Vangeli apocrifi, compare spesso con un libro in mano, emblema dell’uomo prudente e pensoso, addirittura del filosofo. In modo uguale e contrario si diffonde anche l’immagine di san Giuseppe lavoratore, che insegna al Figlio putativo i rudimenti del mestiere. È un’iconografia, quest’ultima, che trova gli esempi più suggestivi in La Tour e, con minore fascino espressivo, si moltiplicherà nell’Ottocento dopo la rivoluzione industriale.
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