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Il frutto immortale

Dagli alberi biblici del giardino dell’Eden alle epopee mesopotamiche, fino al cibo della vita che è Cristo

​«Il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male» (Genesi 2,9-10). Nello spazio simbolico del giardino dell’Eden – un termine che evoca etimologicamente “piacere, delizia” e che costituisce l’orizzonte dell’intero creato così come è concepito e attuato da Dio – entra in scena l’uomo, la creatura protagonista. Davanti a lui si distende una folta vegetazione al cui centro si levano due alberi che non saranno mai registrati in botanica perché si tratta di piante dal valore evidentemente metaforico.
Iniziamo col presentare l’albero più rilevante nel racconto che l’antica tradizione biblica detta “Jahvista” (stando a un’interpretazione esegetica prevalente) dedica alla creazione, nei capitoli 2-3 della Genesi. Si tratta dell’«albero della conoscenza del bene e del male» (in ebraico ‘s da‘at tob wara‘), la cui denominazione è evidentemente metafisica e morale e non certo naturalistica. Una tradizione popolare, espressa dalla storia dell’arte, è ancor oggi convinta che si tratti di un melo. In realtà, l’equivoco nasce da un antico giuoco lessicale, presente nell’interpretazione latina di questo passo biblico: in latino, infatti, malus è sia il “melo” sia la persona “cattiva”. Si può, dunque, allusivamente intrecciare malus-melo con malum-male. In verità, la spiegazione del significato di quella pianta non botanica ma sapienziale è da cercare altrove, attraverso un’analisi dei termini stessi che la definiscono. Partiamo proprio da ‘ets, “albero, legno”.
Ora, l’albero nella Bibbia rimanda tradizionalmente alla sapienza divina e umana: nel capitolo 24 del Siracide, un autore biblico del II secolo a.C., la Sapienza personificata si paragona a un parco lussureggiante di una quindicina di specie vegetali (24,13-17), mentre il Salmo 1 presenta il giusto come albero radicato nei pressi di un ruscello, le cui foglie non avvizziscono mai e i cui frutti sono gustosi e costanti (1,3; lo stesso concetto è ripetuto in Geremia 17,8). È, quindi, la rappresentazione metaforica di un sistema di vita. C’è poi la “conoscenza”: la da‘at biblica non è solo intellettuale ma è anche volitiva, affettiva ed effettiva, è un atto globale della coscienza, è un’opzione fondamentale che coinvolge la vita. “Bene e male” sono ciò che tecnicamente si definisce un “polarismo”, vale a dire i due poli della realtà considerata sotto il profilo morale. A questo punto siamo in grado di identificare quest’albero: è l’albero della morale nella sua pienezza, manifestata all’uomo, albero che si ramifica nel cielo dell’armonia del giardino di Eden.
 
di Gianfranco Ravasi