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Il maestro del Novecento

A Piero, alla sua poetica e alla perfezione delle sue composizioni, hanno guardato artisti diversissimi come Balthus, Morandi, Casorati

​Gli artisti ne sanno sempre di più degli storici dell’arte. Anche nel caso di Piero della Francesca, “scoperto” nel nostro secolo da Longhi e da Berenson, gli artisti erano arrivati prima. Ecco come il giovanissimo Balthus nell’agosto 1926 (dunque un anno prima della fondamentale monografia longhiana) scriveva a un amico da Arezzo, dove stava copiando gli affreschi del maestro: «Ma come potrei parlare dei dieci affreschi di Piero della Francesca? Sono i più begli affreschi che abbia mai visto (rappresentano la Storia della Croce secondo la Leggenda di Jacopo da Varagine). Li ammiro ogni giorno di più. Hanno un’armonia straordinaria perché sono il frutto di lunghi calcoli, e a tutta questa matematica fa da contrappeso una pittura meravigliosa, dai colori chiari, trasparenti, con accordi prima sconosciuti. È una pittura grande e pura. È senza tempo, appartiene a tutti i tempi. Fa pensare alla Dama del liocorno, tanto è misteriosa, ma anche a Valéry, tanto è matematica, astratta, aggraziata e divina. Del resto tutti questi aggettivi suonano vuoti. Per descriverla veramente non c’è altro che dipingerla».
Balthus aveva appena diciotto anni, e si era recato in Italia grazie alla generosità di Jean Strohl, un mecenate che era stato sollecitato ad aiutarlo da Rainer Maria Rilke, intimo amico della madre del giovane. Aveva così soggiornato a Firenze e, appunto, ad Arezzo, mantenendosi con diversi lavori di fortuna: cameriere, sguattero, guida per turisti. «Mi sono trovato per pomeriggi interi davanti agli affreschi di Piero… Essere da solo con lui era quasi surreale, ero immerso nel cuore della pittura… Mi sembrava quasi di penetrare il segreto del mondo» confesserà in seguito.
Molti altri artisti, però, si sono ispirati a Piero della Francesca. Morandi, per esempio, nella sua ricerca di equilibri e di armonia; Semeghini, che ha eseguito una copia della Madonna di Senigallia; Cagli, che ha mutuato I neofiti dai catecumeni che compaiono sullo sfondo del Battesimo di Cristo. E l’elenco potrebbe continuare a lungo. Si può dire anzi che gran parte della pittura degli anni Venti, ispirata agli ideali classici, abbia in Piero uno dei maestri più amati.
Ma non si tratta solo di armonia. Birolli, che dipinge nel 1932 uno stranito Sogno del cavaliere rielaborando un particolare della Resurrezione di Sansepolcro, crea una figura quanto mai disarmonica. Il suo Cavaliere è un uomo addormentato in piazza Susa, allora alla periferia di Milano.

di Elena Pontiggia