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In dialogo con la bellezza

Giovanni Paolo II, nella memorabile Lettera agli artisti, rilancia la sfida per un fertile incontro

​Quando si deve parlare di Giovanni Paolo II dal punto di vista teologico-letterario, la prima immagine che ci attraversa la mente è la stessa che uno scrittore cristiano del III secolo, Origene, aveva adottato all’inizio di un suo commento biblico: «Come chi, messosi in mare su di una barchetta, viene preso da forte angoscia nell’affidare un piccolo legno all’immensità delle onde, così anche noi siamo in ansia mentre osiamo inoltrarci in un così vasto oceano». L’insegnamento di Giovanni Paolo II è, infatti, simile a un “vasto oceano”: quattordici encicliche, tredici esortazioni apostoliche, undici costituzioni apostoliche, quarantun lettere apostoliche, migliaia di discorsi e due libri, Varcare la soglia della speranza (1994) e Dono e mistero (1996).
Noi, invece, riserveremo ora un’attenzione particolare al suo magistero specifico sull’arte nelle vesti di Pontefice.

Naturalmente il testo capitale è quella sorprendente Lettera agli artisti che reca la data emblematica della Pasqua 1999, uno scritto posto quasi a portale d’ingresso del Grande Giubileo del 2000. Prima, però, quasi fosse una sorta di prodromo, merita di essere citata una lettera apostolica, poco conosciuta, intitolata significativamente Duodecimum saeculum, datata 4 dicembre 1987. Essa fa riferimento a un evento ecclesiale decisivo per la stessa storia dell’arte, il secondo Concilio di Nicea, celebrato appunto dodici secoli prima, nel 787. Quell’assise, cancellando l’oscura parentesi dell’iconoclasmo, riaffermava non solo la legittimità delle immagini artistiche sacre ma ne esaltava anche la dimensione teologica e la funzione liturgica.

È in questa prospettiva che Giovanni Paolo II in quella lettera apostolica per il centenario del Concilio di Nicea II ribadiva la funzione evangelizzatrice, spirituale e pastorale dell’arte cristiana, condividendo, ad esempio, la convinzione espressa dagli artisti di tutti i secoli che hanno considerato le loro opere come una via di rivelazione, soprattutto per gli analfabeti, delle “meraviglie” della fede cristiana. Si era così configurata, ad esempio, la cosiddetta Biblia pauperum, spesso dipinta o scolpita sulle “pagine” di pietra delle pareti dei templi. Affermava Giovanni Paolo II in quel documento: «Il credente di oggi, come quello di ieri, deve essere aiutato nella preghiera e nella vita spirituale con la visione di opere che cercano di esprimere il mistero senza per nulla occultarlo. È questa la ragione per la quale oggi come per il passato, la fede è l’ispiratrice necessaria dell’arte della Chiesa». A questo punto, però, è necessario rimandare alla Lettera agli artisti già evocata: essa costituisce il testo fondamentale dell’insegnamento di Giovanni Paolo II sulla bellezza artistica ma anche sul dialogo con gli artisti, seguendo la scia degli interventi precedenti di straordinaria intensità e suggestione proposti da Paolo VI e in preparazione ai successivi pronunciamenti di Benedetto XVI. Lo scritto di papa Wojtyła unisce mirabilmente il percorso antropologico e morale con la prospettiva teologica, in un impasto di forte passione ma anche di grande rigore ideale......

di Gianfranco Ravasi

cardinale, presidente del Pontificio consiglio della cultura