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La coscienza dei folli

​Un ragazzetto mezzo matto e un cavaliere matto intero sono nel cuore d’Europa. E dobbiamo portarli con noi sempre, sempre. Non ci lasciano in pace. Dobbiamo guardarci nei loro occhi d’acqua e cielo sfuggente. Amleto e Chisciotte siamo noi. Un principe che perde il regno e che ha a che fare con un padre fantasma. E un signore strambo che vuole vivere secondo un ideale da tutti ritenuto impossibile. I misteri intorno a Miguel de Cervantes (Alcalá de Henares 1547 - Madrid 1616) e a William Shakespeare (Stratford-upon-Avon 1564 - ivi 1616) aumentano con il passare degli anni, con quella strana doppia data di morte. Il 23 aprile, secondo il calendario gregoriano – o piuttosto il 22, come sostengono gli studi più recenti – di quattrocento anni fa, muore Cervantes. Lo stesso 23 aprile, ma calcolato secondo il calendario giuliano, all’epoca in uso in Inghilterra – dunque in realtà dieci giorni dopo – muore Shakespeare. È come se le due parti del mondo, i due grandi calendari in uso, si fossero accordati. L’ex combattente ferito a Lepanto e il misterioso capocomico, forse d’origine italiana e cattolica in terra protestante, hanno lasciato due grandi specchi in cui provare a decifrare il nostro volto.
Spesso, in questi mesi in cui sotto la pressione di eventi tragici ho sentito la vuota prosopopea di presidenti e ministri che blateravano di “nostra civiltà”, di “Europa” eccetera, mi sono chiesto se costoro avessero minimamente presenti le opere dei due grandi europei dell’evo moderno. Perché dire “noi europei” significa dire noi Amleto, noi Chisciotte. Significa continuare a inquietarsi intorno alla natura di cosa è l’“io”. Sfugge solo ai più stupidi o impigriti pensatori che il problema che oggi sta sotto alle tensioni spesso conflittuali tra grandi aree culturali e di potere (il cosiddetto Occidente e la sua variante nord-americana, il mondo arabo, il mondo orientale) non riguarda la questione di Dio. Non si tratta, infatti, di uno scontro in nome di Dio, anche quando mani rapaci brandiscono quel nome invano come una bandiera. Bensì di un confronto – a tratti inevitabilmente duro – sulla natura dell’io. E qui la faccenda si complica. Il confronto non è dunque sulle diverse idee di Dio, ma sulle diverse esperienze di cosa si intenda per “io”. E su questo terreno le sabbie sono mobili, i confini si mescolano

di Davide Rondoni