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La lunga rivoluzione

Se per gli storici l’idea di un Rinascimento pagano è tramontata i princìpi umanistici hanno davvero ridefinito la cultura europea

Si è soliti definire “umanistica” la cultura italiana del Tre-Quattrocento, caratterizzata da una volontà di distacco rispetto alle tradizioni medievali e da un rapporto privilegiato con la civiltà classica greco-romana, intesa come modello al quale ispirarsi, anche se non da imitare pedissequamente; e nell’umanesimo si è abituati a vedere il momento preparatorio del Rinascimento. Termini come “umanesimo”, “umanista” e “umanistico” sono naturalmente moderni: essi hanno tuttavia la loro radice primaria nel culto delle humanae litterae, cioè della cultura filosofica e letteraria maturata soprattutto nella Roma della “età aurea”, tra I secolo a.C. e I secolo d.C.; la ricerca di un modello stilistico preciso – che era anche modello etico – implicava scelte e scarti. Insieme con la restaurazione di una lingua latina letteraria più bella e corretta – la lingua di Cicerone e di Virgilio – si guardava evidentemente ai valori morali e politici che gli autori di allora avevano proposto. Di conseguenza ci si ispirava a un ideale umano di moderazione e di serenità e a un ideale politico di aristocratica libertà, che era del resto molto adatto a essere apprezzato dalle élites delle città italiane tre-quattrocentesche, le quali – non diversamente, almeno in apparenza, dalla Roma del I secolo a.C. – erano incerte tra forme di governo repubblicano e soluzioni signorili-principesche.
Premessa indispensabile per comprendere il culto umanistico dell’antichità è la considerazione che esso si accompagnava alla coscienza della fine del mondo antico e quindi dell’estraneità di esso rispetto alla società contemporanea. Di tale presunta rottura fra antichità e mondo medievale non si era avuta coscienza fino al Trecento. Per tutto il periodo che definiamo Medioevo, gli europei avevano vissuto sentendosi legati agli ideali di Chiesa e di Impero e utilizzando nelle loro scuole e nelle loro università, accanto alla Bibbia, anche autori latini come Ovidio, Lucano, Stazio. All’eredità romana si era attinto nel suo complesso, senza interessarsi troppo a distinzioni cronologiche, stilistiche o filosofiche: il concetto dominante era che gli antichi erano auctoritates; e anche a loro Dio stesso, che aveva parlato al genere umano privilegiando il popolo di Israele, aveva tuttavia comunicato in modo misterioso le Sue verità. In questa maniera, i miti come quelli di Orfeo o di Dioniso divenivano figure anticipatrici del Cristo e si poteva trattare Virgilio – che nella IV Egloga aveva parlato di un Fanciullo che sarebbe stato partorito da una Vergine all’inizio di una nuova era – come un profeta al pari di quelli biblici.

 

di Franco Cardini

storico