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La mia vita nel maso

Nucleo base della società ladina, non è semplicemente una forma economica ma una griglia di lettura del reale in linea con i ritmi della natura. E una scuola di poesia

​Roberta Dapunt

Vivo in un maso della Val Badia in Alto Adige. È un’antica forma di proprietà diffusa nelle zone alpine orientali ed è da sempre stato perno e cardine di un’evoluzione agricola, dove la famiglia rurale era nucleo fondamentale dell’organizzazione sociale. Il maso è stato dinamica, sviluppo e corso di un’economia familiare che ha fatto del contadino un uomo legato alla propria terra, promovendolo alla nobile qualità di conservatore e naturale tutore dell’ambiente.
Nel corso del tempo sono cambiate le esigenze e le occorrenze della vita e quindi anche nel contesto storico e rurale di queste aziende sono cambiate molte cose. Oggi il lavoro del contadino è anche un impiego legato al denaro, converte il tempo e l’energia in valuta, quasi fosse un passaggio obbligato per poter vivere interamente il privilegio odierno di questa dimensione curata e celebrata con orgoglio da chi ne è proprietario/a.
Imparai nel maso di Ciaminades tutto ciò che comprende la vita nel quotidiano di tale luogo. La prima volta entrai nella stalla priva di qualsiasi familiarità e confidenza. Imparai la dimensione di una mucca, la sua circonferenza gravida, la ritrosia di un vitello, un commosso sentimento di ammirazione quando poco dopo la sua nascita si alza in piedi. Appresi che rastrellare il fieno significa per il prato essere pettinato a festa e che ogni fienagione ha un nome, e che ogni nome corrisponde a una stagione. Capii il succedersi ordinato nel tempo delle crescite negli orti e la coerenza di una scelta di vita, il rigore di questa e il rispetto sacro della sostanza che l’essere umano afferra con le mani, sporcandole e imprimendole dell’odore maestro che ci offre la terra.

la mia confessione fedele

Curo i prati come il pavimento della mia casa,
guardo l’erba come il tappeto sul quale
allignano i figli e un tempo contento.
Non vi è obbligo di appartenenza.
Ogni filo d’erba è una spettanza,
il diritto per l’umiltà di un altro
che l’ha preceduto e che io ho falciato,
raccolto e scelto per necessità e dottrina.
Pulire i prati è levare loro i sassi e contarli,
come un atto di compassione
ad ogni riverenza che gli concedi.
È raccogliere terra sputata dal fondo e seminarla,
di nuovo, in segno di generosità verso essa.

È forse un lavoro ingrato e fermo al punto di partenza
ma è anche la mia confessione fedele,
la coscienza che mi riconosco addosso,
di essere qui anche per questo.

(La terra più del paradiso, Einaudi 2008)
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