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Milano delle meraviglie

Dal Due al Quattrocento la città è stata una delle capitali del gotico internazionale. Una mostra ne raccoglie lo sfarzo

​Si chiama Madonna del roseto, perché Maria col Bambino e santa Caterina d’Alessandria siedono in un giardino di rose. Come si sa, il giardino è un’immagine del Paradiso: per questo è vegliato da due pavoni, che simboleggiano tradizionalmente l’immortalità sia per la loro bellezza, sia perché nell’antichità si riteneva che le loro carni non marcissero, sia infine perché, perdendo le piume d’inverno e riacquistandole a primavera, evocano la Resurrezione. Qui però il giardino è coscienziosamente recintato da una spalliera di fiori, segno che il pittore conosceva la Bibbia (Maria è definita “Hortus conclusus”, come la sposa del Cantico dei Cantici), ma anche le più moderne tecniche di coltivazione dei rampicanti.

Nel roseto una famiglia di angeli, minuta come uno sciame di farfalle, adempie giudiziosamente ai propri doveri. Prima di tutto custodisce una fontana dalle preziose guglie gotiche. È una fonte che deve esser stata scolpita da un bravo orefice milanese, ma ci ricorda anche che Maria è Fonte della grazia divina. Tutto, insomma, nel quadro è concreto e simbolico, attento alla realtà e all’eternità. Precisione e trascendenza si intersecano.
Poco sotto la fontana gli angeli si schierano in duplice fila, in adorazione della Madre e del Bambino. I quali – Dio ci perdoni – fanno un po’ la parte di Gulliver nel paese di Lilliput, tanto appaiono grandi rispetto ai cherubini e ai serafini: Maria è regina degli angeli, madre di Dio stesso, dunque le si addice grandezza e maestosità di sovrana. Per la verità la Vergine, pur portando una corona d’oro, non è seduta in trono e si è accomodata per terra su un cuscino, nella posa che viene definita non a caso della “Madonna dell’Umiltà”, ma le sue dimensioni ribadiscono da sole il suo rango. All’artista, del resto, non interessa lo spazio prospettico, misurabile matematicamente. Il suo spazio è immerso in una luce dorata ed è fatto per contemplare, non per calcolare......

di Elena Pontiggia