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Piero, la luce e la grazia

​Piero il magnifico, Piero il misterioso. Piero e la luce, Piero architetto. Piero l’avanguardista, Piero il primitivo. La ricchezza inesauribile della pittura di Piero della Francesca ha dato adito a una miriade di interpretazioni. La fortuna del pittore di Sansepolcro, di cui quest’anno ricorre il sesto centenario della nascita, accomuna Rinascimento e Novecento. Alla sua pittura di luce e di Grazia è dedicato lo speciale del nuovo numero di “Luoghi dell’Infinito”, mensile di cultura, arte e itinerari, in edicola con “Avvenire” da martedì 3 maggio.
L’editoriale dello scultore e poeta Massimo Lippi evoca la “santità” del colore e delle forme di Piero della Francesca. Spetta invece a Antonio Paolucci tratteggiare il ritratto di Piero, o meglio una galleria dei suoi ritratti, perché la sua figura e la sua arte sono state lette in tanti modi diversi, a loro modo tutti veri. Franco Cardini affresca lo scenario storico su cui si muove l’artista, quel Quattrocento italiano politicamente difficile ma culturalmente fecondo. Piero è stato anche un grande matematico e autore di opere teoriche che danno un fondamento scientifico alla rappresentazione prospettica: lo racconta Saverio Hernandez, dimostrando anche con elaborazioni grafiche la sofisticata architettura delle sue opere. Elena Pontiggia racconta invece il ruolo avuto dall’arte pierfrancescana nella costruzione del Novecento. Paolo Simoncelli accompagna infine in una lunga passeggiata tra le bellezze di Forlì, la città che ospita nei Musei San Domenico una mostra dedicata al “mito” di Piero della Francesca.
La sezione Arti&Itinerari si apre con un servizio di Timothy Verdon sulla “rivoluzione” che si compie sulle superfici scolpite degli amboni toscani partire dalla fine del XII secolo. Alessandro Gandolfi racconta gli scavi archeologici nella città di Hierapolis, in Turchia, dove gli antichi collocavano l’ingresso all’Ade e dove è stato sepolto l’apostolo Filippo. Willy Fassio traccia piste nel deserto algerino che fu teatro della vita e della morte di Charles de Foucauld. Andrea Colombo mette allo specchio le poesie di Clemente Rebora e di Gerard Manley Hopkins, che dopo la conversione e la scelta della vita consacrata hanno perso e poi ritrovato, rivitalizzata, la vena creativa.