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Sironi, l'eternità come tragedia

A Roma una mostra ripercorre l’opera dell’artista che ha interpretato la pittura come rivale dell’architettura

Autoritratto (1910), olio su tela. Collezione privata

Autoritratto (1910), olio su tela. Collezione privata

Milano, 26 marzo 1923. Nell’elegante galleria del cavalier Lino Pesaro, in via Manzoni (dove oggi si trova il museo Poldi Pezzoli) si inaugura la mostra di un gruppo nato da poco: il Novecento Italiano. Il nome ambizioso nasconde una ristretta compagnia di artisti: sono sette. Margherita Sarfatti, il critico che sostiene il gruppo, predilige e mostra a tutti i presenti i quadri di un illustratore, il caricaturista del “Popolo d’Italia”. Non molti sanno che è anche un pittore. Si chiama Sironi: ha sempre vissuto a Roma, ma dopo la guerra si è trasferito a Milano. La galleria è piena: artisti, intellettuali, personalità politiche. Ma non sono lì solo per la pittura. Alle 17 verrà a inaugurare la mostra il presidente del Consiglio, Benito Mussolini. Sono passati più di ottant’anni da allora, e di Sironi si continua a parlare; spesso però in rapporto al fascismo, con la tipica miopia del presente che sopravvaluta la politica. E questo anche oggi, in occasione della grande antologica a Roma, al Vittoriano, che attraverso un centinaio di opere ripercorre tutto il suo percorso espressivo E pensare che fra qualche secolo della “dimensione” politica non importerà più nulla. Che Dante sia stato un guelfo bianco oggi non interessa a nessuno, anche se la sua vita è stata sconvolta da quella appartenenza. Certo, Sironi è stato fascista. Lo è stato dall’inizio, dal 1919, e lo è stato fino all’ultimo, fino al crollo totale del regime. Il suo fascismo non nasceva dalle teorie, ma da quel sentimento nazionalistico, esacerbato dalla vittoria “mutilata”, di cui il movimento mussoliniano si faceva interprete. Nasceva, più ancora, dal contatto diretto col futuro Duce, che l’artista frequenta a lungo nei primi anni Venti e a cui rimarrà fedele tutta la vita......

di Elena Pontiggia