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Tra fatica e pietas, i contadini nell'arte

Già al centro dei cicli medievali dei Mesi, il mondo agricolo offre rappresentazioni ricche di spiritualità e a volte di satira. Carracci, Millet e Van Gogh ne sottolineano la dignità

​Elena Pontiggia

I lavoratori irrompono nella scena dell’arte soprattutto legandosi all’immagine dei mesi. La rappresentazione dello scorrere delle stagioni, che troviamo all’esterno delle cattedrali e dei battisteri, contrapposta allo spazio dell’eternità che si estende invece al loro interno, si vale spesso dell’iconografia di gennaio, febbraio e compagni. I mesi però li troviamo anche altrove. Tra il 1412 e il 1416, pochi anni dopo il ciclo dei Mesi della Torre Aquila di Trento, i fratelli Linbourg accompagnano con splendide miniature un libro d’ore, commissionato dal duca Jean de Berry e noto come le Très riches heures. Il codice, oggi al Musée Condé di Chantilly, è un vertice dell’arte tardogotica e si deve a quei tre fiamminghi, Jean, Paul e Hermann Limbourg, appunto, che erano originari di Nimega in Olanda e scomparvero, come il loro raffinato committente, nella peste del 1416.
Le tavole più famose delle Ricchissime ore sono i Mesi. Guardiamo, per esempio, febbraio, indicato nella lunetta con il carro del sole e i segni dell’Acquario e dei Pesci. È inverno, uno di quei periodi gelidi in cui, come diceva Villon, «i lupi si nutrono di vento», ma i contadini non possono smettere di lavorare. Devono fare provvista di legna, portare a dorso d’asino le merci da vendere al villaggio: solo uno di loro, che evidentemente ha esaurito i suoi compiti, può tornare a casa, intabarrato alla meglio in un mantello. In primo piano vediamo il loro podere, che è anche un luogo di lavoro. Da un lato, imbiancati dalla neve, quattro alveari simili a panettoni attendono la raccolta del miele e della cera. Vediamo poi la colombaia cilindrica (i colombi, più che per la poca carne, consumata solo in circostanze eccezionali, servivano per il concime dei campi) e l’ovile con le pecore, vicino al quale un gruppo di piccioni o di corvi becca un po’ di mangime. Nella casa, intanto, due contadini si riscaldano al fuoco e non temono di scoprirsi, tanto la miniatura, rimpicciolendo tutti i particolari, provvede a non turbare il senso del pudore. Siamo di fronte, in realtà, a una rappresentazione fin troppo benevola della vita dei contadini, che era molto più dura. Qualcuno, anzi, ha detto che i fratelli Limbourg rappresentavano il popolo non com’era, ma come lo voleva pensare il duca di Berry…
Anche il tema dell’Annuncio ai pastori o della loro adorazione davanti alla grotta ha fornito uno spunto per la rappresentazione della vita contadina. Nel mondo ebraico, come è noto, i pastori erano visti con sospetto, perché spesso non avevano modo di eseguire i bagni rituali. Per questo l’annuncio portato loro dall’angelo, di cui parla il Vangelo di Luca, non ha nulla di fiabesco, come potremmo pensare oggi: è il segno della misericordia di Dio, che chiama per primi i peccatori. Nel nostro Cinquecento, invece, il soggetto è l’occasione per alcune scene di genere. Così Bassano, nell’Adorazione dei pastori (1550), oggi alla Galleria Borghese a Roma, in una composizione dinamicamente impostata sulle diagonali dà loro un forte rilievo e uno spazio anche più ampio di quello riservato a Maria. Non si tratta di uno slancio pauperistico. In realtà i loro animali hanno un valore simbolico: l’agnello è un’immagine di Cristo e l’asino, alludendo all’entrata a Gerusalemme, ricorda la sua regalità, ben diversa da quella dei potenti della terra.
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