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Un nome, un programma

Nel 1413 l’antipapa Giovanni XXIII fece convocare il Concilio di Costanza, l’assemblea che mise fine allo scisma d’Occidente. Pacificazione e sguardo al futuro sono propri del pontificato di Roncalli

​Nel settembre 1958 la città di Lodi festeggiava l’ottavo centenario della sua rifondazione avvenuta grazie all’intervento del Barbarossa. Tra le celebrazioni non poteva mancare il rito del pontificale: a presiederlo il vescovo diocesano Tarcisio Benedetti, bergamasco, chiamò il conterraneo e amico Angelo Roncalli, patriarca di Venezia.

La sua omelia colpì il ragazzo che ero, appassionato di storia. Vi si esponevano in modo pacato le vicissitudini della lotta tra Comuni e Impero, additando, nell’intrico dei fatti, una trama provvidenziale: gli uomini di allora avevano capito, dopo l’estenuante battaglia, l’importanza della pace, voluta da Dio e inculcata dai richiami della Chiesa. Al termine della funzione Roncalli con altri ecclesiastici e qualche laico salì nel palazzo vescovile. Riuscii a intrufolarmi nel gruppo. Nella Sala gialla dell’episcopio Roncalli si fermò a osservare un quadro che raffigurava l’incontro, avvenuto a Lodi nel dicembre 1413, fra Baldassare Cossa ovvero Giovanni XXIII, ritenuto antipapa, e Sigismondo, re e poi imperatore, che convinse il primo a convocare un concilio a Costanza per risolvere lo scisma d’Occidente. Tre papi capeggiavano allora altrettante “ubbidienze”, in un clima di polemiche e scontri che laceravano la cristianità. Commentando il dipinto, Roncalli osservò bonariamente come non fosse del tutto conveniente mantenere l’iconografia di un antipapa nella dimora del vescovo, ma subito aggiunse che quel lontano Concilio, partito sostanzialmente da Lodi, era riuscito a comporre le divisioni esistenti nella Chiesa e nello Stato, restaurando un clima di pace.

Trenta giorni dopo il patriarca sarebbe diventato pontefice. Scelse proprio il nome di Giovanni XXIII e neppure tre mesi più tardi annunciò il proposito di convocare un concilio ecumenico. Nei suoi intendimenti, l’evento mirava a promuovere la concordia tra i cattolici, più in ampio tra i cristiani e nell’intero genere umano, incamminato sulle vie di una larga reciproca comprensione e di un’autentica solidarietà. Già in quel primo annuncio aveva usato la parola fraternità a definire il “convito di grazia” cui si partecipava nel concilio; contestualmente i fedeli delle comunità separate erano invitati a seguire i cattolici nella ricerca dell’umiltà. Siffatte prospettive entravano a comporre quella fisionomia conciliare che papa Roncalli andava modellando. Non si trattava di un’intelaiatura di argomenti, tanto meno di una precisa scansione di temi e tempi.

Piuttosto erano lo spirito animatore, le finalità ultime, gli orientamenti fondamentali della futura assemblea a costituire l’obiettivo di numerose affermazioni che il pontefice inanellava con tenace assiduità nelle più svariate circostanze. Il Concilio doveva «dilatare gli spazi della carità», asseriva nell’aprile 1959 rivolgendosi al clero del Triveneto; avrebbe esteso, cioè, le dimensioni della carità alle varie «necessità dei popoli» come tre anni più tardi, il 2 settembre 1962, spiegava a un gruppo di architetti. Lo scopo da perseguire appariva cogente in una fase di grande accelerazione nel campo del progresso tecnico e dell’intreccio dei rapporti fra individui e popoli. “Aggiornamento” fu la parola rimbalzante negli scambi di idee tra i cattolici, lanciata dal papa, che insisteva sulla capacità, da coltivare, a «distinguere i segni dei tempi», a percepire «il ritmo del tempo», secondo un incisivo passaggio della costituzione apostolica emanata per evocare il concilio......

di Annibale Zambarbieri

storico della Chiesa