185 partenze
Avevamo il sogno di andare a Oslo. Non di raggiungere il Capo Nord o di incontrare i misteriosi nomadi della Lapponia. Volevamo proprio Oslo, capitale della Norvegia. Stoccolma non ci era piaciuta molto. Bella ma fredda, come freddi e distanti ci erano parsi gli abitanti. Eravamo rimasti per un’ora ad aspettare il nostro turno in un’affollata panetteria, senza che nessuno si degnasse di indicarci la macchinetta coi numeri per essere serviti. Le chiese erano grandi e vuote, gli altari spogli; le grandi costruzioni moderne ci sembrarono prive di vita, inni all’umano orgoglio.La Norvegia invece ci sedusse, col calore e la gentilezza dei suoi abitanti, le calde stavkirken (chiese di legno), l’ospitalità del pastore che ci vide in chiesa e ci invitò a prendere il tè con la sua famiglia (e noi facemmo grande onore alle torte squisite della pastora). Era primavera avanzata, la neve si stava sciogliendo dappertutto, i musei riaprivano, e un sole pallido ma tenace riempiva le strade di gente.
Il mio ricordo vede la città inghirlandata di sole, il che è ovviamente un’illusione personale. Ma in seguito sono andata ad Oslo ben tre volte, in differenti stagioni, e ogni volta miracolosamente il sole c’era, e io mi perdevo in questa città dall’aria perbene e un po’ borghese, con le strade pulite e un cielo fresco dove passavano nuvole leggere. Fu un caso, certo; ma il modo in cui rimangono vividi i ricordi personali non deve per forza corrispondere a una verità oggettiva…
Andavo per musei, passeggiavo nei parchi. La città mi accoglieva con un materno abbraccio, non mi sentivo straniera in mezzo a quei nordici altissimi e biondi. E così amai il Museo Munch, immerso nella natura, e le sue pareti e pareti su cui percorrere, attraverso disegni, lettere, testimonianze, le forme ossessive del genio dell’artista. Munch non è solo il celebre Urlo: sono gli interni rarefatti e malinconici, i visi femminili intensi, l’aria un po’ chiusa delle case calde, ma oppresse dal grande freddo esterno. Ma furono il Museo delle navi vichinghe e l’altro straordinario museo all’aperto che è il parco con le statue enormi di Vigeland a catturarmi il cuore. Come belve chiuse in un ambiente soffocante, con quelle prore snelle e potenti e gli agili fianchi, vedevo le navi sfasciare i muri e tornare al mare, apparire minacciose davanti alle coste di Normandia o di Sicilia, sprezzanti, invincibili. E in mezzo alle statue, al liscio granito e al bronzo luccicante, sentivo invece la forza avvolgente di una raggiunta armonia, insieme voce della natura e potente visione creativa. Un luogo di contemplazione.
di Antonia Arslan