185 periferie
Cos’è che rende bella una città? Cos’è che fa della vita quotidiana un’esperienza soave, che aiuti a sentirsi a proprio agio, che produca rapporti tra persone che non siano solo di nervosismo e stress? Un ruolo sicuramente preponderante ce l’ha quello che gli architetti chiamano “arredo urbano”. Ci sono città non belle per monumenti ma piacevoli perché lo stile dei lampioni e l’intensità delle luci serali, la gradevolezza delle panchine e dei giardini, la cura dei viali alberati le rendano tali. Ci sono poi città che sono indifferenti a questa componente, che la ritengono un po’ uno spreco, un inutile orpello. Milano, ad esempio è tra queste. Come se l’attitudine pratica dei suoi abitanti volesse somigliare più a una tuta da lavoro e jeans che a una seppur modesta eleganza.
Milano non è brutta, ma ha alcune costanti di “disattenzione” che fanno stupire chi non è abituato a viverci. Prendiamo i marciapiedi, sono tra i più brutti d’Europa, costruiti “come se non dovessero essere mai guardati”. Fatti di asfalto nero, deformati dal calore e dal freddo e soprattutto trattati come se fossero semplici piste per pedoni. Non c’è un motivo economico o funzionale. In una città che oggi vive la crisi, ma che in passato è stata la squillante capitale del design e della moda non si capisce perché non si è mai fatto un ragionamento sul decoro urbano. Come se il tono accettato da cittadini per la propria vita quotidiana fosse un sottotono, un continuo understatement. Si passa dallo squallore ai residui del lusso e in mezzo non c’è niente. I marciapiedi di Milano somigliano come ragionamento alla metropolitana milanese ideata da Gae Aulenti: la più triste metropolitana del mondo, in linoleum nero, in barba a tutto il bisogno dei pendolari di sentirsi un po’ coccolati in spazi comuni. È il ragionamento opposto alla metropolitana di Mosca, pensata come un salotto di lusso per una città – ai suoi tempi – proletaria.
A Milano ha prevalso l’ideologia dello squallore delle mense di fabbrica, delle luci dei refettori, della praticità di una officina meccanica. Che strana poetica! E le periferie milanesi? Che senso scarsissimo dell’umanità, che idea risicata della vita quotidiana, che tristezza di spazi comuni, come se la vita dovesse tutta essere una specie di Standa a basso costo senza nemmeno le illusioni di una H&M. Modestia? O semplicemente abitudine al brutto? Però la crisi potrebbe ispirare una via d’uscita: che i cittadini si riprendano i marciapiedi! Che li abbelliscano, quelli di fronte a casa, come se fossero parte del loro soggiorno! Lanciamo il diritto al marciapiede!
di Franco La Cecla