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La carne e la pietra di Caravaggio

​Quando penso alla Sindone mi viene in mente la Deposizione di Caravaggio della Pinacoteca Vaticana, un’opera databile fra il 1600 e il 1604, in origine dipinta per la Chiesa Nuova di Roma, il tempio officiato dagli Oratoriani, i seguaci di san Filippo Neri.
Il quadro ha il suo fuoco nel corpo di Cristo. È un corpo vero, conosciuto e rappresentato con l’implacabile sapienza del grande anatomista. È un corpo pesante, che gli astanti intenti al pietoso officio del rito sepolcrale fanno fatica a sostenere. È un corpo morto come più morto non potrebbe essere, con i muscoli irrigiditi, con il grigio verdognolo del colore cadaverico che sale dalle mani e dai piedi a occupare tutte le membra. È un corpo bellissimo, come si conviene a Dio incarnato. Caravaggio ci dice che l’Incarnazione è totalmente, brutalmente reale. Non è una metafora, non è un astratto concetto teologico. L’Incarnazione è avvenuta davvero, ed è avvenuta nel corpo di un uomo che ha conosciuto la gloria e lo splendore della giovinezza e ora è posseduto dalla morte. Intorno e accanto ci sono i testimoni storici della passione e morte di Cristo. C’è Nicodemo, in primo piano, che, con entrambe le braccia, regge per le gambe il cadavere. C’è il grido di Maria di Cleofa che alza le braccia al cielo urlando la sua disperazione, rompendo quel silenzio, altrimenti intollerabile. C’è Maria Maddalena che piange tutte le sue lacrime. C’è la Madre, il volto impietrito dal dolore, e c’è Giovanni che cerca di sfiorare per un’ultima carezza il corpo del Maestro amato.

E poi c’è la pietra che presenta a noi il suo angolo e che è, insieme al corpo di Cristo, la vera silenziosa protagonista del quadro. Non della pietra destinata a coprire e sigillare il sepolcro si tratta, ma del letto marmoreo, destinato ai riti funebri, che in latino veniva chiamato “lapis unctionis” (pietra dell’unzione). Secondo il costume giudaico, comune del resto a tutte le culture del Mediterraneo, fra un attimo il corpo verrà deposto sul letto di pietra, spogliato, lavato, unto e profumato. È il rito che precede l’inumazione vera e propria. Ma, nel dipinto di Caravaggio la pietra che presenta a noi il suo angolo ha un significato teologico preciso.

«La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo», recita il Salmo 118. In questo momento, nel momento che Caravaggio mette in figura, Cristo è la pietra scartata dalla storia. I suoi discepoli lo hanno abbandonato, rinnegato, si sono dispersi. La sua meravigliosa utopia è finita sulla croce e ora si dissolverà per sempre nel sepolcro. Questi pensieri attraversano gli astanti e Caravaggio li rappresenta con implacabile verità. Tutto è finito. “Consummatum est”. Non restano che lo strazio della Madre, l’amore di Maddalena e di Giovanni. Eppure noi sappiamo, Caravaggio sa che su quella pietra scartata che presenta a noi il suo angolo, riposa la Chiesa che Cristo ha fondato. Quando il celebrante, nella chiesa nella quale un tempo la Deposizione si trovava, al momento della consacrazione elevava l’ostia (“hoc est enim corpus meum”) essa si trovava allineata con il corpo di Cristo e con l’angolo della pietra profetica. Il messaggio non poteva essere più efficace e più immediatamente comprensibile.

di Antonio Paolucci