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La via Francigena dalle ultime Alpi alla Mortara

​La quinta giornata del nostro pellegrinaggio sulla Via Francigena ci porta, in appena 15 chilometri, con qualche erta salita ma con un bel panorama, da Verrès a Pont-Saint-Martin. Cominciamo dalla visita al favoloso castello di Issogne che - con il suo giardino dalla fontana ottagonale su cui svetta l’albero di melograno in ferro battuto - contende a quello non lontano di Fenis il primato d’ideale “castello delle fate”. Nei pressi, sulla facciata della chiesetta di Saint-Solutor, l’immagine a colori del gigante san Cristoforo, il traghettatore che sostiene sulle spalle il Bambino Gesù.
Si giunge quindi al borgo di Arnad, con l’alto campanile della chiesa parrocchiale di San Martino. È d’obbligo un assaggio del delicatissimo “lardo rosa di Arnad” in salamoia. Il tratto di strada è dominato dall’impressionante mole del­la fortezza di Bard, che pare abbia ispirato Dino Buzzati per il romanzo Il deserto dei tartari.
Ed eccoci all’antico ponte romano sul torrente Lys, un’unica altissima arcata a schiena d’asino. Lo costruì secondo la leggenda il diavolo in una sola notte, per ordine di san Martino.

Sesta giornata.
Da Pont-Saint-Martin a Ivrea
Giornata lunga poco più di 20 chilometri, con dislivelli non troppo faticosi. Lungo la strada troverete Montalto Dora: imponente castello, laghetti glaciali nei dintorni. Se viaggiate nel periodo giusto fermatevi nel capoluogo del Canavese, Ivrea: il suo Carnevale è famoso per la caratteristica “battaglia delle arance”. Ma attenti! Un bel frutto dorato ricevuto in pieno volto può far molto male.
Settima giornata. Da Ivrea a Viverone
Neppure 20 chilometri, durante i quali si costeggia un grande lago morenico. Gloria del luogo, la viticoltura: i vigneti a pergola di qui producono l’uva per un vino indimenticabile, l’Erbaluce.
Inquietanti leggende circondano Viverone: si dice che l’antica città sia stata inghiottita dal lago per non aver offerto adeguata ospitalità a san Martino. Quando le acque si agitano sotto il vento, le campane della chiesa sommersa rintoccano con un arcano, flebile suono.
Ottava giornata. Da Viverone a Santhià
Nemmeno 17 chilometri per una tappa molto riposante: dapprima una breve salita dopo Roppolo e quindi via, tutto in discesa fino ad arrivare a Santhià. Necessaria lungo il cammino la visita al santuario di Nostra Signora del Babilone a Cavaglià, famoso per la duecentesca scultura in stucco che raffigura l’Adorazione dei Magi. Nella collegiata di Santhià sono conservate alcune reliquie di sant’Agata: dal nome della martire è derivato il nome della città.
Nona giornata. Da Santhià a Vercelli
Una tappa un po’ lunga, quasi 30 chilometri, lungo un paesaggio un tempo di boscaglie, acquitrini e brughiere, ora geometrica sequenza di campi allagati. Siete in piena area risicola, dominata dal grande canale d’irrigazione oggi dedicato a Cavour, aperto nel 1863 ed energicamente potenziato fra 1925 e 1931.
Vi attende Vercelli, antico centro forse celto-ligure, in età romana nodo stradale in cui le due vie consolari Aemilia e Postumia incontravano quelle tra la pianura lombarda e i passi del Monginevro e del Moncenisio, poi sede diocesana più antica dell’Italia settentrionale dopo Milano. Tra i suoi musei, quello del Tesoro del Duomo - nel Palazzo Arcivescovile - è imperdibile.
    
Decima giornata. Da Vercelli a Robbio
Passeggiata di 19 chilometri in leggerissima discesa lungo gli argini dei canali nelle cui acque si riflette il massiccio del Monte Rosa. A Robbio visiterete la chiesa di San Pietro del XII secolo, il monastero di San Valeriano e il castello trecentesco dall’impressionante torre bicolore: pietra chiara in basso, rossi mattoni in alto. Siete ormai in Lomellina; la “Mesopotamia lombarda” compresa fra i fiumi Po a sud, Sesia ad ovest, Ticino a est. “Ecomuseo diffuso”, terra d’acque (e di zanzare).

Undicesima giornata.
Da Robbio a Mortara
Altra giornata riposante: meno di 15 chilometri con pochissimi dislivelli. Presso Mortara nel 773 si scontrarono in battaglia i Longobardi di re Desiderio e i Franchi di Carlo detto poi “Carlomagno”: caddero due paladini poi celebrati dall’epica Chanson d’Amis et Amiles. In omaggio al loro vincolo di fratellanza cavalleresca, furono sepolti assieme sotto l’altare della chiesa di Sant’Eusebio, più tardi abbazia di Sant’Albino.
Ma dopo tanta santità e tanta cultura, è bene pensare a rifocillarsi. Ed ecco una specialità locale forse d’origine ebraica, il salame d’oca sapientemente speziato: il top nel suo genere.