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L’umiltà esaltata

Bisogna entrare nella Madonna di Senigallia di Piero della Francesca (Urbino, Galleria nazionale delle Marche) così come si entra in uno spazio liturgico. Solo così potremo capire il sistema di simboli che governa quel celebre capolavoro.
Protagonista del dipinto è la luce, la luce sommessa, obliqua di un giorno qualsiasi. Quella luce, filtrando in un pulviscolo d’oro attraverso i vetri della finestra raffigurata a sinistra, svela un interno di casa signorile ma non sfarzosa dove una giovanissima Madonna assistita da due angeli adolescenti presenta, con gravità dolcemente triste, il suo malinconico Bambino. Gli antichi teologi usavano la metafora della luce e del vetro per spiegare il parto verginale. Come la luce attraversa il vetro senza romperlo così si è compiuto (sine peccato et concupiscientia) il divino concepimento.
Ancora secondo un preciso codice simbolico vanno interpretati gli oggetti che abitano la stanza. Così la nicchia parietale sullo sfondo disegnata con la squisita eleganza che incontriamo in certi dettagli del Palazzo Ducale di Urbino, nella Sala degli Angeli o in quella detta “della Jole”, per esempio, è un vero e proprio tabernacolo eucaristico mentre gli oggetti ivi contenuti hanno un preciso significato religioso: la scatola cilindrica è una pisside, contenitore di ostie consacrate, la cestella di vimini è figura di Maria perché il suo corpo accolse il Salvatore come la fiscella scirpea, il cesto di giunchi che accolse Mosè abbandonato sulle acque del Nilo, i candidi veli sono allusivi alla purezza della Ancilla Domini.
Anche l’espressione dei sacri personaggi è coerente con il significato teologale della figurazione. L’assorta mestizia che caratterizza il volto della Vergine allude al sacrificio della Croce, il corallo che il Bambino porta al collo è rosso come l’effusione del suo sangue, il presagio della Passione è evidente nella malinconica sacralità del Cristo benedicente.
Solo dopo aver esplorato questa silenziosa scatola di metafore e di simboli, potremo abbandonarci al piacere della pura contemplazione. E stupiremo di fronte alla poesia dei minima di Verità e di Natura qui portata a livelli supremi.
Guardiamo il rettangolo di sole che si posa tremolante sul muro, il pulviscolo d’oro che si agita impalpabile nel raggio luminoso proveniente dalla finestra, l’ombra che si addensa nel soppalco in tutte le gradazioni del grigio e del bruno. La Madonna di Senigallia viene abitualmente datata al 1470, in un momento zenitale nella storia delle arti. Perché in quegli anni, con Piero della Francesca e con Antonello da Messina, si realizza, almeno nelle arti figurative, la vera unità culturale d’Europa. L’incontro cioè fra il Nord e il Sud del continente, fra l’occhio fiammingo e la misura italiana, fra la scoperta degli infiniti veri che vivono nell’universo svelato dalla luce e l’ordine razionale che li governa.

di Antonio Paolucci