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Maria, Elisabetta e la gatta

Io non conosco un elogio della maternità più bello, più commovente di quello messo in figura da Federico Barocci verso la fine del Cinquecento. Si tratta di un dipinto su tela conservato agli Uffizi e arrivato a Firenze nel 1631 con la dote nuziale di Vittoria della Rovere, la donna che, ultima erede della dinastia ducale di Urbino e del Montefeltro, andò in sposa al sovrano di Toscana Ferdinando II de’ Medici.
Il soggetto rappresentato non è raro nella pittura dell’epoca e ha per argomento una visita familiare, quella di Elisabetta, madre del piccolo Giovanni, a Maria, mamma di Gesù. Si tratta di un tema iconografico che non figura nei Vangeli ma che tuttavia piaceva agli artisti perché si prestava bene alla rappresentazione di interni arredati e di reciproche effusioni di affetto fra le donne e fra i bambini. Ecco dunque la dimora della Madonna come la immagina il Barocci. La immagina a Urbino dove il pittore aveva casa e bottega: e infatti la finestra si apre sullo skyline del Palazzo Ducale stagliato contro un cielo al tramonto percorso da grandi nuvole.
L’estetica della Controriforma cattolica insegnava che gli episodi sacri possono, anzi devono essere attualizzati, inseriti in contesti moderni, così da esaltarne l’efficacia didattica e catechetica. Nella casa abita una famiglia felice. C’è il marito, san Giuseppe falegname con gli strumenti del suo mestiere bene in vista in primo piano. C’è la Vergine Maria, una giovanissima mamma che culla il suo bambino e intanto legge un libro d’ore. In questo tranquillo ambiente familiare sta entrando dalla porta dischiusa santa Elisabetta, con il marito Zaccaria e il figlio, il piccolo san Giovanni il quale, vivace come tutti i ragazzini, si precipita verso la culla di Gesù con la sua canna e il suo “Ecce Agnus Dei”.
Nella casa di una Nazareth che è diventata Urbino, in un pomeriggio di fine estate due madri, Elisabetta con il ragazzo già grandicello e Maria con il bambino ancora piccolissimo che si sta svegliando nella culla, si rendono visita, si scambiano felicitazioni e auguri.
C’è una novità però in questa iconografia abbastanza tradizionale, perché un’altra mamma abita la scena. È una gatta che sta allattando i suoi piccoli. Ha fatto la cuccia ai piedi della Madonna sfruttando le pieghe della sua veste che è morbida, cedevole, calda. Finora è stata tranquilla. I piccoli poppavano beati, la Madonna, seduta, muoveva la culla del Bambino Gesù e quel ritmico dondolio era piacevole da sentire. La gattina era felice e faceva le fusa. Ma ora con l’ingresso di Elisabetta e della sua famiglia la tranquillità è finita. Questi inaspettati ospiti, soprattutto il ragazzino irrequieto, possono creare problemi. La gatta si preoccupa per i suoi piccoli, sta all’erta, studia i nuovi venuti con una certa diffidenza. Guardate il lampo che attraversa il suo sguardo, le orecchie leggermente abbassate.
Prevengo le domande. Come mai Barocci ha rappresentato una gatta che allatta ai piedi della Madonna? E perché in posizione così centrale? Che ci sia sotto un qualche criptico simbolismo? Ma no, io non lo credo. Semplicemente Federico amava i gatti come li amo io e dovendo rappresentare, da buon cattolico qual’era, due mamme dei Vangeli, ha pensato che anche la gattina di casa che allatta le sue creature e ha paura che qualcuno le infastidisca, è un bell’esempio di maternità.