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Guerra, la follia all'alba della storia

​Eraldo Affinati

Il conflitto e la dialettica, come pensava Eraclito, sono all’origine di tutte le cose. I libri storici dell’Antico Testamento, l’epica classica, la storiografia greca e quella romana, avendo modellato la sensibilità occidentale, lo dimostrano appieno.
Non potremmo del resto neppure immaginare i cicli medioevali, le saghe nordiche, la grande letteratura cavalleresca italiana, senza il clangore delle spade, i duelli all’ultimo sangue, la descrizione delle battaglie, la luce lirica sui paladini lanciati come campioni gli uni contro gli altri. Alcune idee portanti della tradizione europea sembrano la diretta conseguenza di tali tragiche avventure: pensiamo alla rappresentazione dell’eroe, ai concetti di vittoria e sconfitta. È stato Carl Philipp Gottlieb von Clausewitz a indicare nel suo capolavoro, Della guerra, le strategie dei conflitti moderni. Dopodiché, nello scrutinio mirato del romanzo ottocentesco, sarebbe ugualmente impossibile prescindere dal confronto fra gli eserciti avversi, anche quando pare essere confinato sullo sfondo, alla maniera di un fuoco appena trascorso: il folgorante Stendhal delle prime pagine della Certosa di Parma resta l’esempio supremo. Quel tempo di scrittura così rapido e indelebile appartiene al nostro patrimonio fantastico. Da lì prenderà le mosse il capolavoro assoluto: Guerra e pace di Lev Tolstoj, dove la contrapposizione militare fra Napoleone e Kutuzov si trasforma in una sfida epocale fra la tracotanza illuministica del sovrano falsamente democratico e il disincanto quasi asiatico del vecchio generale. Come possiamo battere il piccolo e grande usurpatore? Aprite porte e finestre, lasciate che lui entri dentro la Santa Russia con tutto il suo ciarpame di marescialli e gagliardetti, poi vedrete cosa accadrà. Ecco perché la carneficina di Borodino, dove le schiere francesi, giunte in prossimità di Mosca, si schiantarono contro i bastioni russi, lasciando sul campo il fiore di una generazione, continua ad essere emblematica del­l’assurdità di ogni guerra: vincitori e vinti sono sempre destinati a stringersi in un mortale abbraccio, nella comune pazzia recentemente sentenziata da Papa Francesco a proposito del conflitto in Ucraina. Quest’ultimo, in pieno corso, si sta svolgendo nelle medesime terre che videro, durante la Seconda guerra mondiale, i nostri alpini, sciaguratamente inviati dal Duce a combattere, fianco a fianco dei nazisti. E ciò non può non suscitare l’attenzione di quanti hanno letto e amato Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, fra gli esiti più alti e persuasivi della narrativa bellica italiana del Novecento, da mettere idealmente accanto al magico trittico sulla Resistenza: Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio, La casa in collina di Cesare Pavese e, perché no, Racconto d’autunno di Tommaso Landolfi. Opere fra loro molto diverse ma tutte evocatrici delle nequizie che emergono nel tempo oscuro della lotta fratricida, come è quella fra Zelensky e Putin, quando l’uomo sembra tornato all’alba della preistoria. Chi li compose può guardare oggi a testa alta l’Heinrich Böll di Dov’eri Adamo? e il Norman Mailer di Il nudo e il morto. Eppure è proprio l’orrore della guerra a farci desiderare più ardentemente la pace. Non c’è bisogno di ricordare la splendida Madonnina che il dottor Kurt Reuber, ufficiale medico della Wehrmacht a Stalingrado, disegnò nei giorni del drammatico assedio, conservata nella Gedächtniskirche di Berlino. Basta riandare con la memoria alle immagini di violenza che ogni giorno ci giungono dal Donbass per rivendicare le ragioni della tregua.
Mi piace condividere, in tale prospettiva, un percorso di lettura che confortò la mia giovinezza, nella speranza che qualche adolescente possa trarne suggestione: Addio alle armi di Ernest Hemingway (come dimenticare il tenente Frédéric Hen­­ry che, strappatosi le stellette dopo Caporetto, fugge in Svizzera sul lago insieme alla sua Catherine?); Vita e destino di Vasilij Grossman (capolavoro ucraino e russo); Diario d’Algeria di Vittorio Sereni (mirabili versi composti dal poeta nella sua prigionia sulla costa nordafricana); Notte inquieta di Albrecht Goes (forse nessun altro romanzo bellico come questo ci spinge paradossalmente verso la preghiera) e Dispacci di Michael Herr (“Vietnam, Vietnam, Vietnam, ci siamo stati tutti”).