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La città di Dio destino dell’uomo

Nel capolavoro di Agostino si fronteggiano la “civitas Dei” e la “civitas terrena”. Entrambe coesistono sulla terra ed entrambehanno come obiettivo la felicità. Ma solo una supererà il tempo

​Giuseppe Caruso

Nei giorni dal 24 al 27 agosto del 410 i Goti di Alarico, con i quali l’amministrazione imperiale aveva tenuto un rapporto ambiguo fatto di scontri e di tentativi di accomodamento, espugnarono Roma e la misero a ferro e fuoco: furono solo tre giorni, ma resi terribili dalla violenza degli assalitori e dal terrore degli assaliti. Il saccheggio di Roma suscitò un’impressione profondissima sia sui pagani che sui cristiani: tutti pensavano che Roma, la città eterna, non dovesse mai conoscere l’affronto di una simile devastazione. I pagani accusavano il cristianesimo di aver causato il disastro: le antiche divinità romane, offese perché il loro culto era stato praticamente messo fuori gioco dalla nuova religione, si erano presi la loro rivincita. I cristiani, d’altra parte, si chiedevano come mai il Signore avesse permesso che subisse tale devastazione la città che ospitava le reliquie dei più insigni apostoli, una città che, durante i tempi della persecuzione, era stata tutelata e che invece aveva conosciuto il disastro proprio nei Christiana tempora. Si tratta di due perplessità diverse, ma caratterizzate da una impostazione che, in fondo, le accomuna più di quanto non sembri, cioè dall’idea che Dio (o, in alternativa, le divinità delle religioni tradizionali) militi sotto una specifica bandiera e sia in qualche modo tenuto a garantire la vittoria a quelli che si considerano “suoi”.
Sollecitato da più parti, Agostino prende la risoluzione di dare risposta a entrambi i gruppi e da questa volontà trae origine il De civitate Dei, uno scritto monumentale (lo stesso Agostino con un prestito ciceroniano, la definisce magnum opus et arduum) alla cui composizione lavora tra il 412 e il 426. Questa opera si presenta costruita secondo un’architettura complessa, espressione di una messe di argomenti e consta di 22 libri: nei primi dieci si critica il paganesimo che non assicura, per Agostino, la salvezza temporale (libri I-V) e nemmeno quella eterna (libri VI-X). Agostino ha facile gioco a mettere in luce che, se Roma pagana era spesso vittoriosa, lo era a spese di altre città pagane, che venivano da lei sconfitte e pertanto ciò dovrebbe far riflettere sul fatto che il paganesimo non è una specie di “assicurazione” sul buon destino delle città pagane: naturalmente, il medesimo discorso può essere fatto riguardo alle città e alle nazioni cristiane che, a volte in modo molto abusivo, hanno tentato di arruolare Dio sotto le loro insegne (si pensi al Deus lo vult delle crociate o al Gott mit uns dei Cavalieri Teutonici, assunto poi dai militanti nazisti)… Ma se Dio non ha bandiera, ciò non significa, almeno per Agostino, che non abbia una sua città, come lascia intendere lo stesso titolo dell’opera dell’Ipponense.
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