Vulture, acqua e grotte sacre
In queste terre lucane ricche di storia i segni del monachesimo basiliano e benedettino
Raffaele Nigro
Seduto sui primi contrafforti dell’Appenino lucano, il monte Vulture è un vulcano spento nella cui bocca si sono creati in età preistorica due specchi d’acqua coronati da una ricca vegetazione, i laghi di Monticchio. Costituiscono meta di un turismo domenicale di provenienza pugliese e campana, per la suggestività dei panorami e per la frescura che nell’estate più torrida vi si gode.
Il Vulture ha avuto una storia millenaria, e ognuna delle popolazioni che lo hanno attraversato, Longobardi, Bizantini, Normanni, Svevi, Angioini, ha lasciato delle impronte indelebili. Tra i suoi boschi di faggi, abeti e castagni si rifugiarono a partire dall’VIII secolo comunità di monaci di san Basilio in fuga da Oriente e successivamente di benedettini, trovando riparo in grotte naturali, che ampliarono e affrescarono, e in eremi straordinari, oggetto nei nostri anni di scavi, restauri e studi approfonditi. Il Vulture raduna intorno a sé alcuni centri ricchi di storia e spiritualità: Atella, Lagopesole, Filiano, Rapolla, Rionero, Venosa, Barile, Forenza, San Fele e Melfi, quest’ultima un tempo infeudata ai Doria e oggi nota per l’insediamento Fiat, ma conosciuta anche per le “Costituzioni” che Federico II di Svevia vi promulgò nel 1231, per figure di primo piano come il medico Vincenzo Bruno, che lasciò un Trattato sulle tarantole nel 1602, per il settecentesco Viaggio a San Iacopo di Compostella di Nicola Albano, e per aver dato i natali a Francesco Saverio Nitti e al regista Pasquale Festa Campanile.
Scrive il medievista Antonio Motta, che «nel 980 Ottone II scende in Italia dalla Germania deciso a sottrarre Puglia e Calabria ai Bizantini e visita alcuni santuari delle due regioni». L’imperatore scende ancora una volta nel 984 tra le forre del Vulture intervenendo a favore dell’eremo di San Michele a Monticchio, come rilevava in La badia di Monticchio (1904) Giustino Fortunato, meridionalista originario di Rionero in Vulture: «Primo, spedisce un ordine di conferma di tutti i confini de’ possedimenti, che al presente abbia o possa avere da carte di antiche offerte; secondo, ne espone particolarmente i confini; terzo, mette sotto la imperial protezione l’abate, i monaci, gl’inservienti, gli abitanti e loro famiglie, le cose mobili e immobili, e tutte le loro sostanze; quarto, ordina che nessun duca, marchese, eccetera, presumano mai di recare molestia al ministero od a coloro che ivi servono». Segno dunque che i monaci venuti da Bisanzio e insediatisi sulle rive dei laghi e nell’eremo di San Michele erano già conosciuti e noti nell’impero di quel tempo.
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