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Alla scoperta di Dante sempre a fianco di Beatrice

​Bianca Garavelli

Una promessa unisce due opere di Dante, la Vita Nuova e la Divina Commedia. È legata al suo personaggio per me più riuscito e innovativo: Beatrice. Nell’ultimo capitolo del suo “romanzo” sull’amore per lei, la Vita Nuova appunto, Dante torna al pensiero di Beatrice, la cui anima ha ormai raggiunto Dio, e promette di «non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei» (XLII,1).
La presenza di Beatrice è una specie di rumore di fondo di tutto il poema sacro. Dopo il suo dialogo con Virgilio, che il poeta latino riporta nel canto II dell’Inferno, l’attesa dell’incontro con lei permea tutto il viaggio nei primi due regni dell’aldilà, dove è ancora formalmente assente.
Anche il mio personale viaggio con Dante va dalla Vita Nuova alla Commedia, con una costante presenza di Beatrice. Il mio legame con il Poeta è nato quando ero bambina, e leggevo con piacere, subendone il fascino allora indecifrabile, la Divina Commedia in un’edizione integrale ottocentesca, trovata in una biblioteca scolastica. Da giovane adulta, poi, per me è stato decisivo l’incontro con Maria Corti, mia maestra all’Università di Pavia, che negli anni Ottanta studiava il rapporto fra Dante, la cultura araba e i filosofi logici del Duecento, che gli ispirarono (o provocarono) lo smarrimento nella «selva oscura», immagine di un aristotelismo radicale condannato come eresia. La mia tesi di laurea, discussa con lei, era incentrata sulla Vita Nuova e il linguaggio della poesia stilnovistica, a cui tanto il giovane poeta era debitore, agli inizi della sua carriera.
Ma in seguito, la mia idea di Dante si è ampliata. Mi sono chiesta il perché di questo incontro, che mi ha cambiato la vita. Forse, voleva dirmi quanto anche la sua vita fosse cambiata? Dante non è rimasto il poeta che si dedicava a cantare l’amore nella sua giovinezza di Firenze, si è trasformato nell’uomo che combatte per il bene dell’amata città quando ancora ci vive, e che dopo l’esilio attacca le ingiustizie e le frodi della sua terra d’origine, con uno sguardo all’intera penisola. È un Dante tentato, a un certo punto, da una carriera soltanto politica, che lo avrebbe allontanato, forse per sempre, dalla letteratura.
Che cosa lo ha spinto a scegliere di nuovo la poesia? Solo la delusione provocata dal tradimento – con l’ingiusta accusa e la perdita del diritto a vivere nella sua città –, oppure il ricordo di quel primo amore, di quella bambina di Firenze incontrata a nove anni? Mi piace pensare che soprattutto il pensiero di Beatrice gli abbia fatto scegliere la via della poesia, che lei lo abbia guidato a scrivere il capolavoro. Basta vedere come, da muta musa del Dolce Stil Novo, si sia trasformata in un personaggio attivo e pieno di parole preziose. Beatrice è il volo in Paradiso, è la scoperta dell’amore divino. Le esperienze che Dante ha attraversato entrano tutte nel poema sacro: le letture classiche e bibliche, la poesia in lingua d’oc, il sapere filosofico e teologico, gli studi di astronomia, la musica e l’arte, l’amicizia, così essenziale per lui. Ma soprattutto l’amore per la sua donna, che resta per tutto il viaggio in Paradiso quello sguardo con cui a catturarlo «fece amor la corda»: gli occhi che lo portano fino a Dio, illuminandosi per primi della sua luce.