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Mary T. Clark, cent’anni di “suoritudine” fiera e testarda

Antonia Arslan

Ci sono amicizie che durano tutta la vita, ti accompagnano e maturano con te nel tempo – e altre che scoppiano improvvise, danno nuovi colori al quotidiano, ti arricchiscono di gioia e consapevolezza (o perfino di una nuova visione del mondo) e diventano il tesoro segreto e molto amato dell’età matura.
Così mi accadde con suor Mary T. Clark, dell’ordine delle Religiose del Sacro Cuore di Gesù, professoressa amatissima di filosofia teoretica al Manhattanville College di New York, dove insegnò per sessantasette anni, studiosa e grande esperta di Agostino e Tommaso d’Aquino. Suora fino al midollo, e contenta di esserlo, spavalda e lucidissima, capace di saltare le tappe della conoscenza se una persona la interessava – e di mostrare viceversa apertamente il suo sbadigliante annoiarsi se accadeva il contrario –, la incontrai quando era già più che novantenne (e ancora insegnava!), e fui presente alla festa grande per il suo centesimo compleanno.
In quell’occasione, volle invitarmi a partecipare alla cerimonia, che era un evento accademico in grande stile: e infatti mi fu offerto dagli organizzatori il biglietto per New York, ma con l’ingiunzione assoluta di presentarmi in toga accademica. Grande problema: io, personalmente, non avevo mai avuto una toga, come quasi tutti i miei colleghi all’Università di Padova. Possedere una propria toga alla mia generazione sembrava una cosa antiquata, per cui nelle rarissime occasioni in cui poteva servire se ne prendeva in prestito una di quelle vecchie, appese in uno speciale armadio in Rettorato.
Purtroppo le università americane tengono moltissimo a questi “segni” accademici; e allora, dopo aver invano cercato di contrattare la mia presenza senza toga, andai a perlustrare il famoso armadio, dove stavano appese alcune enormi palandrane polverose. Me le provai con una certa apprensione, ma io sono piccola, e per me erano tutte larghe e lunghissime: e così, prima di imbarcarmi dovetti far lavare, sistemare e scorciare la più presentabile...
Tutto però mi diventò leggero e divertente quando rividi suor Mary T. Clark (mai saputo quale nome indicasse l’iniziale puntata, non me lo volle mai dire). Il suo sorriso era scintillante e ironico come sempre: evidentemente era deliziata per lo sforzo che mi aveva fatto fare, e apprezzava l’omaggio della mia toga raffazzonata. Il suo discorso fu brillante e tenero; parlò senza appunti citando il suo amato Agostino, e finì commuovendoci tutti. Poi, al pranzo di gala, mangiò con appetito invidiabile, prese due volte la torta (squisita) e si alzò come una regina per ricevere l’omaggio affettuoso di colleghi e allievi.
Lucidissima e con una memoria straordinaria, aveva presenti nei dettagli i nostri incontri, e ci tenne a riprendere con me un discorso sulla gioia di vivere e sulla libertà di pensiero proprie del vero cristiano, su cui mi aveva fatto una dotta lezione la prima volta che ci eravamo incontrate (io accompagnavo, per curiosità e per amicizia, una collega che lei stava valutando per affidarle il proprio posto all’università, sulla cattedra a lei dedicata). Ci aveva offerto il pranzo, parco e svelto, e poi andammo per il caffè nel­l’ampia biblioteca. E fu là che mi guardò, mi prese la mano e disse, con molta serietà: «Non nasconderti. È inutile, te lo dico io. Dio sa sempre dove sei».