Il mondo sarà salvato dalla bellezza? La domanda di Fëdor Dostoevskij che ricorre nell’idiota – romanzo iniziato a ginevra nel 1867 e concluso a firenze nel gennaio 1869 – è domanda insieme personale e universale. Domanda a cui non possiamo sottrarci, perché salvezza e bellezza non sono mai disgiunte. «dobbiamo leggere Dostoevskij – scrive Hermann Hesse in un saggio dedicato all’idiota – quando ci sentiamo a terra, quando abbiamo sofferto sino ai limiti del tollerabile e tutta la vita ci duole come un’unica piaga bruciante e cocente, quando respiriamo la disperazione e siamo morti di mille morti sconsolate.
Allora, nel momento in cui, soli e paralizzati in mezzo allo squallore, volgiamo lo sguardo alla vita e non la comprendiamo nella sua splendida, selvaggia crudeltà e non ne vogliamo più sapere, allora, ecco, siamo maturi per la musica di questo terribile e magnifico poeta». Sì, la domanda di salvezza diventa radicale quando sembra non esserci via di uscita, quando tutto è perduto, quando non c’è nulla a cui aggrapparsi e anneghiamo in un mondo viscido e liquido.
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