«Non c’è nulla di più bello del cantico dei cantici”: Queste parole sono pronunziate da uno dei personaggi dell’uomo senza qualità, il capolavoro di robert musil, lo scrittore austriaco morto nel 1942, grande testimone della crisi europea del novecento. esse esprimono l’ammirazione incondizionata che ha goduto questo libretto biblico di sole 1250 parole ebraiche. un poemetto che ha meritato appunto il titolo di shir hasshirim, “cantico dei cantici”, un modo semitico per esprimere il superlativo: il “cantico” per eccellenza, il “canto sublime” dell’amore e della vita.
Il massimo teologo protestante del novecento, Karl Barth, non aveva esitato a definire questo scritto «la magna charta dell’umanità». Eppure questa “charta” del nostro essere uomini capaci di amare, di godere ma anche di soffrire, non è sempre stata letta in modo uniforme perché le sue sfaccettature sono molteplici e variegate come quelle di una pietra preziosa. Sembra aver ragione un antico rabbino, Saadia Ben Joseph (882-942), il quale comparava il cantico a una serratura di cui si è persa la chiave: per aprirla si devono moltiplicare i tentativi.
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