Come cirri che biancheggiano nitidi nel cielo azzurro dell’estate, le architetture di oscar niemeyer non permeano rio de janeiro – dove pure egli nacque il 15 dicembre 1907, visse e morì, il 5 dicembre scorso – ma la punteggiano, la orientano, la completano, le aggiungono quel sovrappiù d’anima cui si ancora l’identità del luogo: proprio come per barcellona è l’opera di gaudí, che vi trascorse tutta la vita.
Se il genio catalano ha inteso superare lo stile gotico con l’invenzione di strutture arborescenti che crescono come tronchi, rami, foglie, fiori, l’architetto carioca ha superato il razionalismo – nella cui cultura nacque seguendo le corbusier – e ha disegnato nel calcestruzzo curve come espressione di un vivere gioioso, sorridente e pieno di luce. Se gaudí ha raccolto l’eredità dell’ottocento e l’ha portata un passo più avanti, fino a divenire icona di un modo nuovo di fare architettura, niemeyer ha interpretato al meglio la cultura del novecento e l’ha slanciata oltre, verso un divenire aperto. entrambi hanno fondato i loro progetti sull’elaborazione delle superfici curve, con una predilezione per gli iperboloidi.
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