Ritrovo, dopo anni, una vecchia antologia, e la sfoglio. Si apre a una pagina che è stata chiaramente molto letta, molto usata. C’è una poesia di antonio machado, un grande poeta spagnolo: ma non è uno dei miei amati, non so molto di lui, non mi arriva dal cuore nessuna emozione, né un fluire di versi nella memoria. E allora leggo la poesia, quasi distrattamente, e subito sento un rintocco lontano, come di un ricordo sepolto.
E mi viene in mente il lamento per Ignacio Sánchez Mejías, la famosa ballata di lorca in morte dell’amico torero, col suo ritornello ossessivo, “alle cinque della sera”, che ascoltavamo commossi ed esaltati in un disco, tantissimi anni fa. la delicata, sofferta lirica di machado viene però da un’altra, più sommessa, sensibilità, che tuttavia è pur sempre spagnola: la contiguità con la morte, presenza arcaica e in qualche modo materna, non amichevole ma neppure estranea, austeramente famigliare, alla quale si deve rispetto e ci si deve inchinare.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Abbonati a Luoghi dell’Infinito per continuare a leggere
La rivista è disponibile in formato cartaceo e digitale
Abbonati alla rivistaSei già registrato? Accedi