Vangi, emozioni di marmo tra umano e divino

di Giovanni Gazzaneo

Lo scultore fiorentino si racconta: l’amore fin da bambino per l’arte, gli anni in Brasile e l’incontro con le favelas, la centralità della figura e i grandi interventi nelle cattedrali di Padova, Pisa e Arezzo

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​In bilico tra cielo e baratro, questa la linea di confine su cui si gioca la scultura potente di giuliano vangi, tra i massimi artisti della nostra contemporaneità. Grnde perché i suoi marmi e i suoi bronzi provocano stupore e gli occhi si fanno domanda: come può dare vita a una pietra, come può trasformare un tronco in uno sguardo? Accade un miracolo: il marmo sorride, il legno ci interroga. perché l’opera d’arte, quella vera, non può che essere l’eco, più o meno lontana, più o meno potente, di quell’opera d’arte suprema che è il soffio della vita donato a un pugno di polvere nell’eden.

E il miracolo accade anche oggi, quando la materia viene plasmata dalle mani di vangi. mani antiche, sbocciate nel 1931 a barberino di mugello, la terra di giotto. mani che fin da bambino hanno preferito al gioco il disegno e l’arte di plasmare. una vocazione compresa da nonno paolo. «il babbo di mia mamma era del mugello.

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