In un saggio tradotto in italiano nel 1948, progresso e religione, christopher dawson si chiedeva «perché un cavaliere è più “bello” di un agente di cambio». la questione resta valida ancor oggi, anzi lo è tanto più in quanto il tempo nel quale viviamo appare molto poco “cavalleresco” mentre gli agenti di cambio o i loro sofisticati successori postmoderni ne parrebbero tra i principali protagonisti.
Ma perché un cavaliere – nel senso eminentemente medievale di professionista della guerra caratterizzato da uno status ritualmente e iniziaticamente legittimato – dovrebbe esssere “bello”? In che cosa risiederebbe la sua bellezza? nella descrizione stereotipata che ne danno i romanzi cortesi, nei quali balenano reminiscenze del “cànone” formale espresso dall’armonia delle membra del doriforo scolpito nel v secolo a.c. da policleto?
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