Il tempo della “ragione forte” delle ideologie è anche il tempo dell’utopia: dove la ragione moderna pensava di aver tutto compreso, la volontà di potenza delle ideologie ambiva a imporre alla realtà complessa e drammatica la totalità senza ombre dell’idea, rincorrendo l’aspirazione utopica di un compiuto regnum hominis. in quest’ambizione, affamata di totalità, non restava spazio per la bellezza, perché per essa non può esserci posto dove non siano riconosciuti l’ulteriorità, l’indicibile, il mistero: la bellezza evoca, non cattura; suscita, non arresta; invoca, non presume.
Perciò, nel tempo dell’utopia velleitaria della ragione adulta la bellezza è stata spesso respinta, esiliata o ridotta a calcolo dall’estetica strumentale delle ideologie. nel tempo del disincanto e della ragione debole, dove la massificazione ideologica ha ceduto il posto alla folla di solitudini del regno del frammento, nella postmodernità nichilista rinunciataria di fronte alla verità e al bene, perché sospettosa nei confronti di tutti gli orizzonti globali di senso di cui l’ideologia aveva abusato, solo la bellezza può offrirsi come via d’incontro con ciò per cui valga la pena di vivere e di vivere insieme, con ciò che sia capace di vincere il dolore e la morte e di dare speranza alla vita.
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