«Sono nato settant’anni fa nello stato più barocco del brasile: il minas gerais». un barocco architettonico e paesaggistico. «è una regione montuosa, di una bellezza mozzafiato. i colori della stagione delle piogge sono poetici. le nuvole sono di un grigio così carico che sembrano sul punto di scoppiare. i raggi del sole le squarciano all’improvviso… da bambino, mio padre mi portava a fare lunghe passeggiate e mi faceva notare ogni dettaglio. era un osservatore acuto e appassionato. quando scatto mi porto dietro questa eredità».
Sono i luoghi dell’infanzia la “genesi” del sebastião salgado fotografo. e anche del suo ultimo, monumentale lavoro. un ritorno alle origini: non individuali ma universali. l’obiettivo salgadiano cattura stavolta le «periferie della civiltà del pianeta». quegli angoli di mondo «ecologicamente puri, ancora primordiali – dice – che formano il 45 per cento della terra», spiega l’artista brasiliano, tornato a milano dopo 14 anni di assenza per presentare genesi.
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