Cartier Bresson, dialoghi intorno all'uomo

di Max Mandel

In mostra all’Ara Pacis l’opera del grande fotografo francese. Che oltre a scattare immagini era anche un appassionato affabulatore

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Credo che ogni anno nel mondo vengano sviluppate dodici miliardi di fotografie». Così nel 1979 Henri Cartier-Bresson (Chanteloup-en-brie, 22 agosto 1908 - l’Isle-sur-la-sorgue, 3 agosto 2004). Ai nostri giorni il numero di immagini non è certamente diminuito, anzi: paradossalmente, una parte del mondo delle macchine fotografiche è in crisi ma è inimmaginabile il numero delle fotografie “scattate” con cellulari e ipad. Le foto condivise via web scandiscono – giorno dopo giorno, ora dopo ora – la vita delle persone; quasi che queste avessero coscienza di esistere solamente nell’atto di mostrarsi. Se vogliamo, anche le opere realizzate negli anni dagli artisti permettono di seguirne la vita. Città di Castello, Perugia, Siena, Firenze, Roma: gli spostamenti di Raffaello – ed è solo uno dei tanti esempi possibili – sono ben documentati dai capolavori che ci ha lasciato. Allo stesso modo, attraverso le sue fotografie seguiamo le tracce di Cartier-Bresson: Francia, Spagna, Messico, Stati Uniti, Unione Sovietica, India, Cina.

«La fotografia per me equivale a tenere un diario. tengo un diario fotografico di quello che faccio e posso scattare foto in qualsiasi momento. sono il testimone di ciò che attira il mio sguardo».

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