Così scoprimmo i gusti degli altri

di Franco Cardini

La dimensione culturale del cibo è stata una lenta presa di coscienza, non priva di incontri choccanti

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L'alimentazione, la qualità del cibo, i modi per procacciarselo, prepararlo, conservarlo e consumarlo, i rapporti tra alimentazione e altri aspetti della vita di una civiltà, le arti, le tecniche e le scienze che con tutto ciò hanno attinenza, il rapporto tra cibo, medicina e salute, sono stati a lungo oggetto solo di una “storia minore” che confinava con la curiosità e l’erudizione e che nella migliore delle ipotesi riguardava i folkloristi, gli “storici delle tradizioni popolari”. Nella cultura di derivazione “classica”, cioè greco-romana, i cinque sensi erano rigorosamente ordinati in una gerarchia di differente dignità a seconda della loro “spiritualità” o “corporeità”: pertanto ai due sensi più nobili, la vista e l’udito, venivano accostate le arti, la poesia e la musica, mentre tatto, gusto e olfatto venivano collegati a un più basso gradino, corrispondente alla materialità e alla corporeità delle sensazioni che provocavano e delle attività nelle quali erano coinvolti. Michail Bachtin ha coniato l’espressione “basso-materiale-corporeo” per tutto quello che riguarda il cibo, le attività sessuali, le funzioni corporee, le sensazioni a ciò in vario modo connesse.

Questa lunga, tenace catena di pregiudizi estetici e culturali cominciò a mostrare delle crepe concettuali nella seconda metà del secolo scorso con la nouvelle histoire di fernand braudel e della sua scuola. in quell’ambito si inaugurarono – in un clima di interdisciplinarità tra scienze storiche e scienze umane, con riguardo particolare all’etnologia e all’antropologia culturale – nuove discipline che toccavano i campi, ad esempio, della “storia delle mentalità” e della “storia materiale”. in questo crocevia si situarono esperienze innovative di storie “dei cinque sensi”, con sviluppi sorprendenti, ad esempio nella direzione della “storia dei profumi e degli odori” inaugurata da henri corbin, e della storia non tanto “del gusto alimentare”, della gastronomia, della tavola e della tassonomia delle vivande quanto delle vere e proprie “strutture del gusto”, nelle quali fu maestro il geniale jean-louis flandrin, affiancato da studiosi di straordinario valore quali odile rédon e massimo montanari.

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