Dialogo atto secondo

di Gianfranco Ravasi

Il padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia costituisce una nuova tappa del riavvicinamento tra Chiesa e arti contemporanee

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La Santa Sede è approdata per la seconda volta in laguna, dopo il 2013, approntando un suo padiglione all’interno dell’attuale edizione della biennale d’arte di Venezia. Lo ha fatto riprendendo il tema del “principio”, passando dal libro della genesi, che guidava la precedente partecipazione, al prologo del vangelo di giovanni: «in principio era la parola e la parola si fece carne». Tre giovani artisti, provenienti da diversi continenti – la colombiana monika bravo, la macedone elpida hadzi-vasileva, il fotografo mozambicano Mário Macilau – hanno dato figura e persino “carne” a questo incipit fondamentale del nuovo testamento.

L’operazione si colloca in una prospettiva programmatica di indole più generale che da tempo si vuole proporre e che ora cercheremo di illustrare. Il punto di partenza è l’indiscutibile registrazione riguardante il divorzio che si è consumato tra arte e fede (in particolare con la liturgia). Alle spalle abbiamo una storia totalmente differente e non è certo necessario ricorrere allo stereotipo della bibbia “grande codice” della cultura occidentale, coniato da william blake e approfondito dall’omonimo saggio del critico letterario canadese northrop frye (1982), per esprimere questo vincolo di sororità naturale tra arte e fede.

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