Fame, la grande domanda

di Piero Gheddo

I problemi, le tragedie, le responsabilità. Eppure garantire a tutti accesso al cibo è il vero senso del progresso

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Perché 800 e più milioni di uomini soffrono la fame? E' la domanda che molti si fanno, ma non c’è una risposta semplice e univoca. nei miei numerosi viaggi in paesi extra-europei ho visto quanto è difficile risolvere questa tragedia. Nel 1969 a moroto, capitale della regione dei karimojong nel nord dell’uganda, nella vasta area cintata dei comboniani si erano rifugiati più di mille indigeni, seduti per terra in attesa di avere acqua e cibo. un anno di siccità e quasi senza raccolto li aveva portati a soffrire fame e sete. I pozzi della missione davano acqua e le riserve di mais e grano permettevano di sfamarli. centinaia di uomini, donne e bambini scheletriti e sconvolti da dolori atroci, fino a non aver quasi più aspetto di persone umane. Ho pensato a gesù crocifisso. tutti quei miei fratelli e sorelle, quei bambini per i quali le mamme non avevano più latte, erano crocifissi e io mi sentivo impotente, quasi colpevole. ricordo indimenticabile, come anche in india, bangladesh, somalia, namibia, mozambico, burkina faso... pregavo e mi chiedevo: perché, o signore?

Due sono le cause del sottosviluppo africano. innanzitutto l’arretratezza dell’agricoltura e la corruzione delle élites locali. i paesi poveri non producono abbastanza cibo. Il senegalese Jacques Diouf, segretario della fao, nel 2008 affermava: «servono circa 44 miliardi di dollari l’anno per sconfiggere la fame». 

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