Pietro il Venerabile, abate di Cluny, dove la tavola era famosa per abbondanza e delicatezza, rimproverava così Bernardo di Chiaravalle e i suoi cistercensi rigorosamente vegetariani: «Voi condite i vostri legumi con un filo d’olio e tanta superbia». Eppure l’ascetico bernardo era capace a sua volta di fare l’elogio del cibo, e non solo di quello di magro: nelle sue sententiae indugia descrivendo la cottura delle uova (bollite nell’acqua o fritte nell’olio, nel burro, nel lardo). Quanto ai periodi di astinenza, come avvento e quaresima, i monasteri erano di solito dotati di peschiere nelle quali venivano nutriti anche pesci sopraffini, come il luccio: che, predatore, richiede vivai esclusivi, mentre in altri possono convivere specie più miti.
Nei monasteri e poi nei conventi degli ordini mendicanti, oltre ai pesci, ai coniglie e ai volatili da cortile (tenuti più per le uova che per la carne), si curavano con grande perizia anche giardini, orti e frutteti: venivano consumati freschi la frutta, gli ortaggi, i legumi, oppure sapientemente conservati. molti metodi di conservazione di cibi hanno origini monastiche. Non si trattava solo di prepararsi alle lunghe stagioni fredde o di affrontare le possibili carestie, a vantaggio non solo dei religiosi ma anche della popolazione; si trattava anche di approntare cibi e bevande che avessero anche valore salutare. la gastronomia confinava (e confina) con la medicina. l’arte del mangiare era anche quella di mantenersi a dieta: ci si alimentava non solo per vivere ma anche per guarire. la parola “ricetta”, usata in cucina non meno che in farmacia (originariamente un elenco di ingredienti naturali), è sintomatica.
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