Maria, Elisabetta e la gatta

di Antonio Paolucci

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Io non conosco un elogio della maternità più bello, più commovente di quello messo in figura da federico barocci verso la fine del cinquecento. si tratta di un dipinto su tela conservato agli uffizi e arrivato a firenze nel 1631 con la dote nuziale di vittoria della rovere, la donna che, ultima erede della dinastia ducale di urbino e del montefeltro, andò in sposa al sovrano di toscana ferdinando ii de’ medici.
Il soggetto rappresentato non è raro nella pittura dell’epoca e ha per argomento una visita familiare, quella di elisabetta, madre del piccolo giovanni, a Maria, mamma di Gesù. Si tratta di un tema iconografico che non figura nei vangeli ma che tuttavia piaceva agli artisti perché si prestava bene alla rappresentazione di interni arredati e di reciproche effusioni di affetto fra le donne e fra i bambini. ecco dunque la dimora della madonna come la immagina il barocci. La immagina a urbino dove il pittore aveva casa e bottega: e infatti la finestra si apre sullo skyline del palazzo ducale stagliato contro un cielo al tramonto percorso da grandi nuvole.

L’estetica della controriforma cattolica insegnava che gli episodi sacri possono, anzi devono essere attualizzati, inseriti in contesti moderni, così da esaltarne l’efficacia didattica e catechetica. nella casa abita una famiglia felice. c’è il marito, san giuseppe falegname con gli strumenti del suo mestiere bene in vista in primo piano. c’è la vergine maria, una giovanissima mamma che culla il suo bambino e intanto legge un libro d’ore. in questo tranquillo ambiente familiare sta entrando dalla porta dischiusa santa elisabetta, con il marito zaccaria e il figlio, il piccolo san giovanni il quale, vivace come tutti i ragazzini, si precipita verso la culla di gesù con la sua canna e il suo “ecce agnus dei”.

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