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Il dossier del mese
«La scoperta del Vero nella certezza dello spazio misurabile». Con queste parole Roberto Longhi parlava dell’arte di Giotto, e credo che sarebbe difficile dire meglio.
Da una parte il Vero di natura che la luce e l’ombra costruiscono e i colori definiscono e differenziano, il Vero che i paesaggi, le persone, gli animali offrono al nostro sguardo ma anche il Vero emotivo e psicologico, quello che appare nei volti degli uomini e delle donne a significare amore e odio, paura e speranza, stupore e meraviglia. Dall’altra lo spazio che ospita il Vero organizzandolo e dislocandolo in profondità secondo misure e proporzioni, all’interno di quella colorata scatola prospettica che è il Creato.
Dentro questi due poli – la scoperta del Vero e la certezza dello spazio – si colloca la rivoluzione di Giotto. È in forza di questa rivoluzione che egli guadagna il «grido» su Cimabue ( Purgatorio XI, 91-92) e la giovane lingua figurativa degli italiani sterza “dal greco al latino” diventando occidentale, romanza e quindi “moderna”, come Cennino Cennini aveva bene inteso. Il mondo «delle attitudini e degli affetti», come scriveva Giorgio Vasari, diventa, con Giotto, protagonista della pittura e carattere eminente dello stile.
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