Non sempre il risultato è un capolavoro. prendete il macbeth diretto lo scorso anno dall’australiano justin kurzel: magnifici i paesaggi, d’eccezione il cast (il protagonista è il divo Michael Fassbender, la sua diabolica sposa è impersonata da marion cotillard), ma le aspettative restano in parte deluse, forse per colpa di qualche trovata un po’ da videogame. Meglio la severa versione firmata nel lontano 1971 dal tormentato roman polanski? Francamente sì, e non soltanto per la tonalità livida e spettrale delle immagini. Meglio ancora, a voler essere sinceri fino in fondo, il Macbeth realizzato e interpretato nel dopoguerra da orson welles, un istrione che di adattamenti shakespeariani (e non solo shakespeariani) se ne intendeva davvero, come avremo modo di osservare.
Fatto sta che tra william shakespeare e il cinema il rapporto è tanto intuitivo quanto complesso. lo sosteneva già eugenio montale, con una battuta velenosetta anzichenò, rivolta contro l’intellettuale-tipo degli anni settanta. quello, ammiccava il poeta, per il quale shakespeare, se fosse vivo oggi, farebbe del cinema. «intanto vorrebbe farne lui», punzecchiava in chiusura. film, certamente, ma anche telefilm, e non soltanto per via delle sue opere che sono in effetti copioni già bell’e pronti. Ma il punto è che “shacpeare” – così lo scriveva giuseppe verdi, storpiandone il nome ma rispettandone lo spirito come pochi hanno fatto – è anzitutto uno straordinario autore popolare. nel suo teatro londinese, il globe, tragedie e commedie andavano in scena tra gli schiamazzi del pubblico, che a fine recita aveva già mandato a memoria una buona manciata di versi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Abbonati a Luoghi dell’Infinito per continuare a leggere
La rivista è disponibile in formato cartaceo e digitale
Abbonati alla rivistaSei già registrato? Accedi