Scriveva Ildegarda di Bingen, intorno all’anno mille, a Everardo II vescovo di bamberga: «tutte le cose che possiamo vedere, toccare e percepire col gusto sono state create da lui. Ed egli le ha viste tutte in qualche modo indispensabili per l’uomo: per l’amore totale, per la paura, l’ubbidienza o la prudenza in ogni occasione. Tutto ciò che ha creato ha qualcosa di visibile e non visibile. Ciò che si vede è debole, ciò che non si vede è forte e vivo».
Basterebbero queste poche righe dense di significato, scritte da una santa proclamata pochi anni fa dottore della chiesa, per capire quanto il cibo ci riporti alla terra e la terra ci riporti a un ordine dentro al quale viene garantita la vita dell’uomo. c’era un senso di unità nel medioevo, per cui mai nessuno avrebbe messo in discussione che l’uomo era al centro di un fenomeno ben preciso, la vita, che passava e che passa dal sistema stellare, dalle stagioni, dalla semina e dalla raccolta, per garantire non solo la possibilità dell’uomo di alimentarsi dentro a un ciclo, ma addirittura di variare gli alimenti, secondo un’esigenza oggi considerata ideale dalla dietetica moderna.
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