Il frutto immortale

di Gianfranco Ravasi

Dagli alberi biblici del giardino dell’Eden alle epopee mesopotamiche, fino al cibo della vita che è Cristo

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«Il signore dio piantò un giardino in eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. il signore dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male» (Genesi 2,9-10). 
Nello spazio simbolico del giardino dell’eden – un termine che evoca etimologicamente “piacere, delizia” e che costituisce l’orizzonte dell’intero creato così come è concepito e attuato da Dio – entra in scena l’uomo, la creatura protagonista.
Davanti a lui si distende una folta vegetazione al cui centro si levano due alberi che non saranno mai registrati in botanica perché si tratta di piante dal valore evidentemente metaforico.

Iniziamo col presentare l’albero più rilevante nel racconto che l’antica tradizione biblica detta “jahvista” (stando a un’interpretazione esegetica prevalente) dedica alla creazione, nei capitoli 2-3 della genesi. si tratta dell’«albero della conoscenza del bene e del male» (in ebraico ‘s da‘at tob wara‘), la cui denominazione è evidentemente metafisica e morale e non certo naturalistica. una tradizione popolare, espressa dalla storia dell’arte, è ancor oggi convinta che si tratti di un melo. in realtà, l’equivoco nasce da un antico giuoco lessicale, presente nell’interpretazione latina di questo passo biblico: in latino, infatti, malus è sia il “melo” sia la persona “cattiva”. Si può, dunque, allusivamente intrecciare malus-melo con malum-male. In verità, la spiegazione del significato di quella pianta non botanica ma sapienziale è da cercare altrove, attraverso un’analisi dei termini stessi che la definiscono. Partiamo proprio da ‘ets, “albero, legno”.

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