No, non sono solo pietre quelle che hanno edificato la città di Cracovia: sono molto di più. «permettete, prima di andare via – dirà un giorno di giugno del 1979 papa giovanni paolo ii alla vigilia del rientro a roma –, guardo ancora una volta cracovia, questa cracovia, dove ogni pietra e ogni mattone mi è caro. […] da qui guardo la Polonia. E per questo vi prego, prima di andare via, di assumervi ancora una volta questa eredità spirituale che si chiama polonia, con fede, speranza e amore». quegli oltre cento palazzi, chiese e conventi che scolpiscono la “roma polacca”, come veniva chiamata la città, sono, nelle parole dell’ispiratore delle giornate mondiali della gioventù, nonché di uno dei suoi due santi patroni insieme a suor faustina kowalska, l’espressione dell’animo polacco, che si esprime proprio attraverso la bellezza dei suoi monumenti.
Questo legame di spirito che innerva la materia riverbera nelle parole di uno scrittore dal temperamento romantico come Stefan Zeromski, che quando visiterà il complesso monumentale del Wawel, con Cracovia ancora sotto l’occupazione austriaca, avrà per quelle amate pietre parole tanto ispirate quanto rivelatrici: «con venerazione, le dita tremanti, tocchi i marmi e mormori in fondo alla tua anima “ah, eccelsi”. Minuto di vita meraviglioso, pari a quello della prima comunione». Non è, la loro, un’esaltazione fine a se stessa, benché Stanislaw Przybyszewski, ancora uno scrittore, tratteggi alla perfezione un altro aspetto del carattere cracoviano: «da nessun’altra parte si vive così tanto d’immaginazione e così poco nella realtà come a cracovia».
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