Nelle relazioni umane il pasto in comune ha una rilevanza di significato eminente. esso, infatti, genera ed esprime comunione di vita a livello fisico e spirituale. è perciò sconvolgente il fatto che dio – uno e trino, quindi in se stesso relazione – abbia voluto farsi nostro commensale. Questo mistero, già adombrato nell’episodio di mamre quando abramo ospita i tre viandanti che sono uno (cfr. gen 18), raggiunge la sua pienezza nell’incarnazione del verbo venuto non solo a farsi nostro commensale, ma anche nostro cibo. Gli evangelisti sottolineano molto la dimensione conviviale nella vita e nell’insegnamento di Gesù, al punto che si potrebbe rileggere l’intero vangelo in questa chiave, evidenziando come ogni banchetto sia una “parola nuova”, un nuovo messaggio di salvezza.
Anzitutto è non poco significativo che egli sia nato a betlemme – la “casa del pane” – e abbia partecipato, all’inizio della sua predicazione, a un banchetto di nozze: «vi fu una festa di nozze a cana di galilea e c’era la madre di gesù. fu invitato alle nozze anche gesù con i suoi discepoli» (gv 2,1-2). Come sappiamo, le feste nuziali allora duravano diversi giorni e gli invitati erano molto numerosi. in quel banchetto a un certo punto venne a mancare il vino, ma prima che i commensali se ne accorgessero, ecco che la madre di gesù intervenne facendo semplicemente notare al figlio: «non hanno vino».
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