Lo incontravi, e ti colpiva da un lato la sua forza contadina, la sua imponenza e irruenza da antico guerriero vichingo, e dall’altro lato i suoi occhi infantili e chiari. Restavi scosso dalla sua voce profonda e vibrante, da cattedrale o da deserto, e poi ti seduceva l’invincibile sorriso degli occhi azzurri. aveva il colore forte della sua terra in Friuli che l’aveva generato, colore che gli è rimasto per una vita impigliato nel volto e non l’avrebbe mai più abbandonato.
Lo ascoltavi e la sua parola apriva spazi al volo. con lui ho rivissuto l’esperienza dei discepoli di emmaus, quando si dicono l’un l’altro: «non ci bruciava forse il cuore per strada mentre ci spiegava le scritture?» Ascoltarlo era rimanere accesi. regalava stupore, quella esperienza felice che scardina gli schemi, che si inserisce come una lama di libertà in tutto ciò che ci satura. sapeva liberare la parola da ogni sequestro ecclesiastico. La faceva vibrare nella vita. e proprio perché entrava nella vita, la sua non era una parola neutra: il vangelo non è né pallido né evanescente. ha forma, ha colore. per questo la predicazione di david maria turoldo, segnata da passione accesa per dio, per il popolo, per gli ultimi della terra, non poteva non suscitare, come ogni parola profetica, consensi e ripudi, accoglienza e ostilità. dentro e fuori la chiesa. dentro la chiesa e dentro la società.
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