«Tutti mi dicon maremma maremma / e a me mi pare una maremma amara, / l’uccello che ci va perde la penna, / io ci ho perduto una persona cara. / sia maledetta maremma maremma, / sia maledetta maremma e chi l’ama; / sempre mi trema il còr quando ci vai / perché ho paura che non torni mai. / sempre quando ci vai mi trema il còre, / perché ho paura di perder l’amore».
Sono parole struggenti e disperate, cantate nell’ottocento sull’aria triste di una canzone dei coscritti di napoleone, «partirò partirò / partir bisogna / dove comanderà nostro sovrano». era un canto che, proprio come quella canzone, accompagnava gli esuli involontari verso una meta pericolosa eppure inevitabile. la maremma come la guerra. terra di aria insalubre, di morbi letali, di malaria, di pellagra (la malattia che colpiva chi si fosse alimentato quasi esclusivamente di farina di mais, cioè di “polenta”), di paludi insidiose, di briganti. le interiezioni più comuni e violente della gente toscana, a un passo dalla bestemmia, ne sono testimoni: “maremma cane!”, “porca maremma!”, “maremma ladra!”, “maremma boia!”.
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