Apro un cassetto chiuso da molto tempo, dove ho stipato – a strati successivi – vecchie carte, quaderni cominciati e mai finiti, copie di poesie che mi erano piaciute, pezzetti di matita, qualche spago e quelle buste riciclate che il mio ossessivo professore di archeologia riteneva necessarie per archiviare le schede compilate.
Chissà perché non le ho mai buttate via? – mi domando – ma poi le rimetto nel cassetto, indecisa. Sotto vedo apparire l’angolo di una fotografia ripiegata, in bianco e nero. sul fondo grigio di un grande prato spiccano dei cervi bianchi. La apro, e la memoria si mette in moto, rievocando una sensazione di bellezza contemplata, di incantata lontananza. La didascalia dice: “cervi nella radura della foresta boreale in Polonia”.
Volto la pagina, dall’altra parte c’è un’altra foto, con scritto: “la taiga nella polesia polacca”. Ed ecco la mente mi si apre, e ricordo il grosso manuale per l’esame di geografia all’università con la temibile professoressa bevilacqua, e come mi fermai più volte, affascinata, davanti a quelle immagini, che poi staccai dal libro appena finito l’esame.
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