In una delle pagine più poetiche della storia dei longobardi – scritta alla fine dell’viii secolo, quando ormai il regno era stato assorbito nell’europa carolingia – Paolo Diacono rievoca il ritorno in Italia del suo avo Lopichis dopo il lungo periodo di cattività trascorso in pannonia, dove era stato condotto prigioniero dopo una scorreria del bellicoso popolo degli avari.
Guidato, come in una favola nordica, da un lupo e armato solo di arco e frecce, lopichis affronta dure prove ed estenuanti fatiche, ma alla fine, stremato, giunge alla casa natale, che trova vuota e abbandonata, «tanto – annota paolo diacono – che non aveva più tetto, e dentro era piena di rovi e spini». all’interno era cresciuto anche un grande frassino, al quale lopichis appende, novello ulisse, la faretra. l’Itaca domestica da lui sognata e raggiunta era Cividale.
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