«Questo racconto avrà la forma di un romanzo d’avventure intitolato il monte analogo: è la montagna simbolica che unisce il cielo alla terra; via che deve materialmente, umanamente esistere, perché se no, la nostra situazione sarebbe senza speranza». così scrive il filosofo e scrittore francese rené daumal in una lettera all’amico raymond christoflour, nel 1940. Sotto le parvenze di un romanzo d’avventura, il monte analogo descrive una sorta di “metafisica dell’alpinismo” che è anche un itinerario minuzioso, lentamente maturato nelle esperienze dell’autore verso un centro, verso una vetta dove ciascuno possa diventare ciò che è. La spedizione tra terra e cielo che daumal descrive si trasforma così in un percorso analogico, una sorta di metafora in cui non c’è niente che possa dirsi vero, e niente che sia falso del tutto e dove conta, più del resto, affacciarsi nella propria interiorità.
Una passione. una sfida. un’ossessione. un confine. la montagna è questo e molto altro: un problema. un problema che sembra investire la stessa condizione umana. un po’ come accade nel misterioso caso letterario de il monte analogo, o nella gioiosa stagione che sul finire dell’ottocento ha accompagnato le vicende del monte verità: quella “repubblica dei senza patria” nelle vicinanze di ascona che raccoglierà teosofi e psicoanalisti, anarchici e comunisti, letterati e musicisti, alla ricerca di una relazione intima e forte con una natura incontaminata, interpretata simbolicamente come “ultima opera d’arte”.
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